Suburra, realismo amaro

Suburra, realismo amaro

Ore 22:30, cinema romano sulla Tuscolana. Una sala di all’incirca 550 posti quasi completamente occupata. L’età media non supera i 35 anni, forse per l’orario o forse per il film. Approfitto del prezzo vantaggioso dei tre euro grazie ai #CinemaDays, pur sapendo che Suburra potrebbe rivelarsi un pugno nello stomaco. Troppo brutale e troppo vero. Scoprirò dopo che avevo ragione: questo film mi ha fatto tornare a casa con un senso di disillusione, schifo e ripugnanza. E non si tratta dell’opera in sé, ma della storia che questa racconta.

Rispecchia i miei gusti? No, ma poco importa. Consiglio di andare a vederlo? Assolutamente sì.

A prescindere dalle preferenze personali, credo nessuno possa negare che questo film sia fatto veramente bene. Un’ottima regia di Stefano Sollima, già regista di Gomorra e Romanzo criminale, sapientemente architettata su campi medi e piani sequenza, così da poter cogliere appieno tutta la scena. Nonostante le critiche pre-partenza, vera sorpresa è stato Claudio Amendola, credibile anche in questa veste drammatica e noir del boss romano “Il Samurai”. Parte del cast invece risulta una conferma più che una sorpresa, come Pierfrancesco Favino, nei panni del politico corrotto e vizioso, o Elio Germano in quelli del vigliacco imprenditore pieno di debiti. Bravi anche i volti più nuovi e freschi di Adamo Dionisi nel ruolo di Manfredi, il capo “zingaro” e di Alessandro Borghi, che interpreta Numero 8, il giovane capo del clan di Ostia. (N.B: unico appunto da fare a quest’ultimo è che non sempre si capisce quello che dice.)

Un film che vale la pena vedere. Certo, non lo si guarda per svagarsi e liberare la mente. No, al contrario. È uno di quei film che lascia alla fine un’amara e spaventosa consapevolezza: il mondo dove viviamo è spietato, degenerato, vizioso e venduto.

Ovvio, lo sappiamo tutti. Anche noi persone comuni sappiamo che esistono giri di droga, prostituzione, regolamento di conti e affari illeciti. Ne sentiamo parlare continuamente su giornali e tv, ma questo film costringe lo spettatore a prendere coscienza della realtà in cui vive. Andarlo a vedere a Roma, potete immaginarlo, dà una suggestione diversa rispetto a quella che potrebbe provare uno spettatore fuori dalla capitale. Un film che per 130 minuti mostra un’incalzante violenza e che non lascia spazio all’immaginazione: scene esplicite, taglienti, crude e molto spinte catapultano all’interno di un thriller metropolitano dove non c’è spazio per la morale, i valori o la compassione. Dove ogni decisione dà il via a una serie di azioni/reazioni dalle quali nessuno è escluso, come esprime perfettamente il Samurai/Amendola: “I soldi non sono un problema. Possiamo comprare chiunque.”

Pioggia. Tanta pioggia. Una pioggia incessante e copiosa accompagna quasi tutto il film e nonostante continui a scorrere, non riesce a lavare via lo sporco e il marcio di una Roma corrotta e depravata. Così diversa e così simile rispetto a quella che viviamo tutti i giorni.

 

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