La caduta della dea

La caduta della dea

Quando lunedì scorso Maria Sharapova ha annunciato una conferenza stampa per fare “un annuncio molto importante” subito si sono scatenati i rumors. I più paventavano l’annuncio del ritiro da parte della tennista siberiana. Sharapova ha 28 anni, gioca ad alti livelli da quando ne aveva 17 e gli ultimi otto mesi ha giocato solo tre tornei a causa di molteplici infortuni. C’era anche chi pensava ad una gravidanza o ad un annuncio pubblicitario, ma erano queste ipotesi del tutto peregrine.

Nessuno, invece, avrebbe mai pensato alla possibilità che la tennista siberiana avesse in serbo un annuncio così clamoroso e “sconvolgente” come l’aver fallito un controllo antidoping agli Australian Open di quest’anno, a causa di un medicinale, il meldonium, assunto per dieci anni, a partire dal 2006, per problemi di salute legati alla mancanza di magnesio e divenuto illegale nel 2016.

Il 22 dicembre 2015 – sostiene durante la conferenza stampa – le sarebbe arrivata una mail, da lei ignorata, con un allegato contenente la lista aggiornata delle medicine e delle sostanze illegali, inclusa la messa al bando del meldonium.

E’ molto difficile, se non impossibile, stabilire se quello che ha dichiarato Sharapova sia vero o no. Ognuno avrà la sua opinione in merito. La verità la sanno solo lei e il suo entourage.

Certo alcune questioni devono essere ancora chiarite. E’ possibile che un’atleta di questo calibro, che ha uno staff composto da una cinquantina di persone, si debba occupare personalmente di controllare la liceità delle sostanze che assume? Se le cose stessero così, anche se ciò pare incredibile, lei non avrebbe responsabilità dirette e pagherebbe in prima persona la negligenza del suo staff.

Perché Sharapova prendeva un farmaco anti-ischemico, che altri atleti russi utilizzavano, e che può fungere da coprente dell’epo?

Soprattutto, Sharapova deve essere in grado di dimostrare che lo prendeva, come ha dichiarato, sotto prescrizione medica. Penso che questa sia la questione centrale. Se non ha mentito, ed è vero che fu il medico a somministrargliela, allora la sua posizione cambia di molto. Non si tratterebbe di un tentativo intenzionale di migliorare artatamente le proprie prestazioni, cioè di quello che si suole chiamare doping, ma di una grossolana leggerezza da lei commessa. Se invece ha mentito, dovrebbe essere smentita facilmente. Tutti gli atleti infatti devono fornire ad ogni controllo anti-doping la lista delle medicine assunte.

Sulla questione Roberto Salerno su ubitennis ha rilevato giustamente che “il problema del doping nel tennis e nello sport non è semplice come a volte si pensa. Di fatto è praticamente impossibile darne una definizione condivisa, e il confine tra cosa e lecito e cosa non lo è ha spessissimo l’aria di essere decisamente discrezionale. Per questo, qualsiasi cosa accada, ci saranno sempre pareri diversi sulla questione. Alcuni sosterranno che anche il caffè fa male, altri che in ogni caso l’assunzione di farmaci non cambierebbe i risultati, altri ancora che tutto andrebbe liberalizzato. La cruda realtà è che parliamo di una convenzione: la WADA – e i vari ordinamenti nazionali – hanno le proprie definizioni dei comportamenti leciti e illeciti e a quelli ci si deve conformare. E come abbiamo visto a volte la WADA consente comportamenti che sono proibiti da alcune legislazioni nazionali e le legislazioni nazionali non sono tra loro omogenee, come nel caso di Maria. Il farmaco è illegale in USA ma legale in Russia. Inoltre su moltissime questioni non si può che essere discrezionali, come ad esempio la percentuale di ematocrito nel sangue. Insomma, cos’ha combinato veramente Maria Sharapova? Semplice, non ha rispettato il regolamento. E quindi va squalificata. Da qui a darle della dopata ce ne corre a meno di non voler banalmente considerare che tutti quelli che fanno sport sono, sostanzialmente, dei dopati che però non hanno violato il regolamento”.

Va detto che Sharapova ha dimostrato molto coraggio e maturità esponendosi pubblicamente ed assumendosi tutte le responsabilità per quello che è successo. Si può pensare che abbia giocato d’anticipo solo per salvare la propria immagine, che ne esce comunque irrimediabilmente scalfita se non compromessa, oppure per tentare di limitare le perdite economiche che ne sarebbero derivate; ma il suo rimane un gesto encomiabile.

La vicenda ha avuto un riverbero straordinario in tutto il mondo, non solo nell’ambito sportivo, perché qui non stiamo parlando di una sportiva qualunque ma di una grande campionessa, per di più dotata di grande fascino e avvenenza.

Maria Sharapova è un’indiscussa celebrità, probabilmente l’atleta donna più famosa al mondo. Ha legioni di fans sparse in tutto il mondo (su facebook conta 15 milioni di seguaci, ed è la tennista/atleta più seguita di tutti, maschi compresi). E’ la più pagata al mondo, da undici anni: ogni anno incamera 30 milioni di dollari, tra sponsor e montepremi, con un patrimonio stimato da Forbes in 285 milioni di dollari.

I primi ad abbandonarla sono stati proprio gli sponsor: la Nike (che con lei aveva stipulato un contratto da 70 milioni fino al 2020), Tag Ehuer, Porsche.

A partire dal 12 marzo la tennista russa verrà sospesa. Sull’entità della sanzione è difficile fare previsioni. Le potrebbe essere comminata una sanzione superiore o inferiore a un anno a seconda che le siano riconosciute le attenuanti. Tra pochi mesi si svolgeranno le olimpiadi in Brasile, Sharapova sarebbe dovuta essere la portabandiera della Russia; a meno di una decisione molto generosa da parte dei vertici della Wada non vi prenderà parte.

Quello della Sharapova è l’ultimo caso nel mondo del tennis ad essere stato accostato al doping, in uno sport che, per quanto attraversato da sospetti (mai dimostrati), finora era stato “risparmiato“. In passato sono incorsi in sanzioni Cilic, Coria, Hingis, Gasquet (entrambi per aver fatto uso di cocaina). Anche Andre Agassi nella sua biografia (Open) rivelò di aver fatto uso di droghe nel 1999 e di averla fatta franca.

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