Su Disincanto, a differenza di altri prodotti su cui mi sono speso in maniera articolata e approfondita, farò una recensione breve, immediata e senza spoiler.
La ragione è semplice: la serie merita qualche parola, ma non ha così tanti meriti da ricevere buone parole.
Ma andiamo con ordine.
1) Il punto centrale per molti è uno solo: Disincanto prova in tutti i modi a far ridere, ma non fa ridere.
Non. Fa. Ridere.
Divertimento non pervenuto.
Anti-risate.
Ridere fa non.
È vero, e credo anche che vada bene così. Si capisce sin dall’inizio che Disicanto non sia pensata per essere interamente comica, benché sia stata concepita da Matt Groening, leggendario creatore de I Simpson e di Futurama. Se però l’intenzione era portare una serie più matura usando la comicità solo come sostegno, con Disincanto ritengo abbiano decisamente impostato male i tempi comici, con troppe battute in spazi brevissimi e in contesti assolutamente inutili e forzati, che strappano raramente la risata e perlopiù distraggono dalle vicende. A dirla tutta, è la natura stessa della comicità ad essere un minestrone insipido: a volte parodistica-citazionistica, a volte surreale-demenziale, a volte pure gag corporali, a volte giochi di parole, a volte strati di ironia casuali e non sempre comprensibili.
Disincanto manca di una filosofia comica, uno stile riconoscibile al di fuori dei cliché del mondo fantasy, che fornisca ritmo ed energia alle battute, presentate il più delle volte senza criterio (persino Star Wars 8 è meno confusionale…). Non fa ridere, ma ci prova con tutte le sue forze. È l’equivalente di quell’amico che spara decine di gag orribili, e ogni tanto, per un favorevole gioco probabilistico, gliene esce una buona, per farci poi ritornare a guardarlo con imbarazzo, sorriso fintissimo e malcelato disgusto.
Quantificazione sommaria dell’eccesso di battute.
2) Gli episodi hanno un ritmo lentissimo, pesante, a tratti scritto e diretto in modo amatoriale, farraginoso e senza brio (si sente in particolare l’assenza di una colonna sonora degna di questo nome, che spesso lascia il vuoto cosmico tra le varie scene). In dieci puntate succede quello che poteva accadere in tre episodi fatti benino, con dolce e caffè in omaggio. La trama è poi noiosa, piena di banalità e strutture ritrite, salvo l’unico plot twist interessante che viene irriducibilmente affossato nell’episodio finale.
L’enorme ed evidente difetto, mi sembra, è che Disincanto sia una via di mezzo tra una storia che si presenta e vuole svilupparsi con ampio respiro, e una narrazione a puntate autoconclusive con un filo conduttore che solo nel tempo va a snodarsi (stile Futurama), senza in definitiva essere né l’una, né l’altra cosa. Una struttura simile la ritroviamo in Rick and Morty, dove però l’aspetto autoconclusivo è più accentuato, e lo spettatore apprezza più facilmente gli sprazzi di trama generale che emergono dalle briciole delle singole avventure.
Inoltre, in Disincanto si fa davvero fatica a superare i primi due episodi, e solo grazie a un atto di fede del tipo“l’ha ideata Matt Groening, di sicuro sarà una figata”. Si arriva a ben oltre metà della serie senza aver visto né concluso nulla, pur avendo buttato in mezzo decine di possibilità, idee e buoni propositi. Si giunge alla fine con la percezione netta di essere stati presi in giro, poiché l’unico abbozzo di trama che viene fatto annusare negli ultimi episodi si ripercuote in un enorme: “beh bambini, vedrete tutto nella prossima stagione”.
Ma non funzionano così i cliffhanger. Se si vuole invogliare lo spettatore a guardare qualcosa dopo una certa rivelazione o un certo sviluppo, anche qualora si sia programmato un arco narrativo di tre-quattro stagioni, come minimo bisogna averlo conquistato ora, in questa prima stagione, attraverso le emozioni e le avventure di questi dieci episodi, e aver creato un contesto che lo porti a desiderare altre storie.
3) I personaggi, poi…
Tre personaggi in cerca di trama.
Il magico trio Bean, Elfo e Luci va ancora benino, se non altro perché, dopo averli visti continuamente in ogni episodio, ci si abitua alla loro esistenza, e gli eventuali fastidi si assottigliano. Ho apprezzato Elfo per la sua impostazione da maschio beta, qualche battuta e comic relief di Luci, e ogni tanto Bean dava la parvenza di essere una protagonista, oltre che un’adolescente ubriacona. Tutto il resto, però, è un brusio di fondo dimenticabile, superficiale, a tratti ridicolo in senso negativo.
In retrospettiva è una situazione pazzesca, se si pensa all’enorme quadro di personaggi e sottotrame che I Simpson e Futurama avevano creato, e che erano talvolta persino più affascinanti delle storie principali. Come detto, è evidente che Disincanto abbia una diversa dimensione e impostazione, ma non basta mettere tre personaggi, una storia molliccia, un’impalcatura con un castello, la classica vita medievale e tante aspettative per fare una serie decente. Dopo alcuni episodi l’assenza di un mondo dietro la storia si fa sentire, e non ci si accontenta più del semplice contorno.
In sintesi, ho trovato Disicanto una delusione totale, uno spreco enorme di idee e potenziale, alleviato raramente da qualche sprazzo di colore. Una cantonata creativa e narrativa, che spero subisca presto una fine indolore, diversa dalla morte apparente sulla quale barcolla adesso.
E no, non sono ottimista verso lo sviluppo della trama in futuro, e la retorica del “bisogna aspettare un po’ per vedere la trama ingranare” non mi convince: Disincanto non mi fa desiderare la sua attesa di sviluppo futuro perché non ha saputo conquistarmi e convincermi nel presente, mostrando qualcosa di accattivante e intrigante, sulla quale posso ragionare, immaginare e sperare.
Ma forse Netflix è più lungimirante di me, riuscirà a smentirmi e dimostrare che Disincanto è solo un vino che abbiamo stappato prima della fermentazione, un prodotto raffinato che necessita del suo tempo e del suo spazio, anche a rischio di irritare gli spettatori al primo assaggio.
Forse.