L’insostenibile leggerezza di Bojack Horseman

L’insostenibile leggerezza di Bojack Horseman

[Premessa: sarà una recensione-analisi della quinta stagione di Bojack Horseman con spoiler, purtroppo inevitabili, ma necessari per comprendere a fondo perché ha lasciato il segno]

Negli anni, abbiamo conosciuto Bojack Horseman come una serie in grado di allargare le tematiche più pesanti e profonde a un pubblico meno elitario, mostrando storie incentrate sul vissuto depressivo, su quanto il nichilismo esistenziale si insinui nelle nostre interpretazioni della vita e sulla necessità delle relazioni con gli altri per superare le stesse interpretazioni (“In questo mondo terrificante, ci restano solo i legami che creiamo”), rimanendo al contempo un prodotto leggero e fruibile attraverso la sua comicità surreale e la raffinata satira dello star system e del mondo dello spettacolo (in questa stagione, in particolare, troviamo alcune citazioni al caso #metoo e allo scandalo Weinstein, argomenti già trattati dalla stessa serie in tempi non sospetti, e rimarcati con tagliente sarcasmo e fredda umanità).

La quinta stagione ha ripreso tutto questo, ma ha riscritto le basi sulle quali si poggia e dato una nuova direzione che, mi auguro, verrà conclamata in una conclusione degna nella prossima stagione. Imposterò l’analisi di questa quinta parte trattando i singoli personaggi (con Bojack in ultima posizione, in quanto chiave di volta), per poi scrivere una breve conclusione.

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DIANE

Uno dei vantaggi di Bojack Horseman è il possedere un cast in cui ogni personaggio riesce a creare un’immedesimazione, anche solo a livello inconscio e non per forza come azioni e intenti. Diane, da sempre, è il personaggio in cui meglio mi identifico, e sono piuttosto contento del ruolo e dell’evoluzione che ha avuto in questa quinta stagione.

Dopo averci lasciato con un commovente pianto finale, che racchiudeva tutta la sofferenza di un matrimonio difficile e altalenante, Diane passa queste dodici puntate ad andare avanti e indietro in sé stessa, chiedendosi cosa vuole e cosa spera di conquistare.

Il viaggio in Vietnam è il primo tentativo di trovare le radici interiori sradicate dopo il divorzio, ma fallisce non appena si rende conto che la crisi non dipende dalla sua etnia, e recuperarla così tanto a posteriori non dona la serenità ricercata. Ritornata a Los Angeles, Diane si ritrova coinvolta più o meno volontariamente nelle vicende altrui, accantonando il suo benessere per seguire le folli azioni e colpe di Bojack, dal quale cerca di estrarre la verità sulle vicende con la figlia di Charlotte, e dell’ex marito, col quale indugia nel sesso post-divorzio, evidenziando un legame non del tutto disciolto.

Diane ha appena scoperto cosa significa la piena libertà, ma non sa di preciso cosa farsene. Ha preso coscienza di voler essere diversa, di concepire sé stessa al di fuori del lavoro e delle relazioni, ma nonostante gli anni di psicoterapia non è ancora in grado di “vedersi e comprendersi”. La quinta stagione non dà indizi sul suo destino, e il grande mistero è soprattutto quanto l’amore con Mr. Peanutbutter sia davvero finito, o se si tratti di una pausa zoppicante destinata a trascinarla di nuovo nel limbo dell’incertezza.

MR. PEANUTBUTTER

Per anni mi sono lamentato di come Mr. Peanutbutter, pur riuscendo magnificamente nel ruolo di spalla comica insieme a Todd, non fosse praticamente cresciuto né mutato durante tutte le stagioni, rimanendo il bambinone ingenuo con molto entusiasmo e poca sostanza.

In questa quinta stagione, finalmente, vediamo un Mr. Peanutbutter alle prese con le emozioni degli adulti. Il divorzio con Diane lo ha sconvolto, per quanto la sua maschera da giocoso nichilista non lo lasci a vedere e il suo istinto lo faccia tuffare immediatamente in un nuovo amore con la cameriera Pickles, la cui estetica canina e carattere gioviale sembrano istintivamente più vicini al labrador.

È chiaro come, nonostante i ripetuti tentativi di normalizzare il disastro, Mr. Peanutbutter non sia in grado di riconoscere il suo dolore, e commetta uno sbaglio dopo l’altro nel tentativo di recuperare la felicità che sembrava assodata. La proposta di matrimonio a Pickles è chiaramente impetuosa e irrazionale, ma evidenzia come Mr. Peanutbutter cerchi di scansare il confronto con il suo dramma, più che accettarlo come parte di sé. Non a caso, il consiglio di “frequentare persone sui trent’anni”, pensato per far transitare Mr. Peanutbutter verso la maturità, non sortisce alcun effetto, e lascia (similmente come per Diane) il vuoto sul suo destino.

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TODD

Archiviata la parentesi sull’asessualità (caratterizzazione utile, ma che ho sempre trovato poco interessante cucita su questo personaggio), Todd, come Mr. Peanutbutter, si riscopre a dover cercare di diventare adulto, a smettere di vivere la “vita spericolata” e provare ad accasarsi, in particolare attraverso un lavoro d’ufficio.

Ovviamente, trattandosi di Todd, le sue vicende sono all’insegna dell’imprevisto e dell’assurdo, e praticamente nessuna delle sue intenzioni contribuisce a metterlo sulla strada desiderata: manda un curriculum per uomo delle pulizie, e si ritrova a capo della sezione marketing di cheoraèadesso.com; ai vertici dell’azienda prende una decisione sbagliata dopo l’altra, venendo surclassato persino dal robot-erotico costruito per avvicinarsi sessualmente ad Emily, la sua amica del liceo, finendo poi cacciato dall’azienda stessa una volta fallita la produzione.

A differenza di Peanutbutter, però, Todd compie un’unica scelta che imprime il suo futuro: distruggendo il robot-erotico, dimostra di voler abbandonare il suo stile di vita surreale e inverosimile, per cercare finalmente la tranquillità. Il togliersi la giacca elegante e rimanere con gli abiti “da Todd”, tuttavia, lasciano presagire che il vortice di comicità e assurdità non siano conclusi, per quanto sia evidente l’intenzione presa.

PRINCESS CAROLYN

La grande sorpresa della quarta stagione, Princess Carolyn torna nella quinta con un rinnovato desiderio di voler diventare madre attraverso l’adozione. Le vicende che la coinvolgono ci mostrano una Princess Carolyn tenace, determinata e che investe molte energie alla ricerca del figlio tanto voluto, benché ostacolata dai conflitti con le madri biologiche.

Il desiderio viene realizzato a fine stagione, ma è evidente come non si tratti della conclusione. Princess Carolyn comprende ulteriormente come la maternità confligga e si compenetri con la sua carriera di manager, che il più del tempo consiste, ironicamente, nel fare da madre lavorativa a quasi tutti gli altri personaggi. Non è tanto il conciliare il suo essere madre e donna in carriera a spaventarla, quanto comprendere quale delle due parti di sé vuole valorizzare: pur essendo incredibilmente multitasking, Princess Carolyn si immerge in ogni cosa con grande dedizione, e l’avere un figlio richiede tanto tempo quanto il suo lavoro frenetico.

Il vero quesito per la prossima stagione sarà vedere come Princess Carolyn gestirà le due grandi sfide della sua vita, e sembra escluso che riesca a rinunciare al lavoro per fare la madre, così come di dedicare poco tempo al figlio per mantenere alti gli standard lavorativi.

GINA

New entry di questa stagione, Gina è la co-protagonista di Philbert insieme a Bojack Horseman, e veicolo perfetto per due temi che questa serie aveva sinora solo accennato: la stanchezza e il compromesso.

Gina è un’attrice senza agganci, che ha navigato una decina d’anni tra ruoli minori e apparizioni, portando a casa lo stipendio senza troppe pretese. La sua intima passione per i musical, sdoganata da Bojack con l’intenzione di aiutarla, è sommersa dalla mancanza di talento canoro; è una persona disillusa, che ritrova un minimo di colore solo quando emerge come attrice in Philbert. La sua relazione con Bojack, prima solo sessuale e poi più ampia, inizia e finisce con lo stesso tono di neutralità e accettazione, senza grandi clamori, e con sostanziale disinteresse verso il suo compagno di letto.

Per riassumere Gina, potremmo dire semplicemente che “è stanca”. La sua vita è stata un concentrato di illusioni soppiantate dalla verità, di sogni massacrati dalla crudezza, di intimità strozzata in senso letterale e metaforico. Non appena riceve un minimo di riconoscimento, si trincera nel suo piccolo angolo di celebrità e fa di tutto per non diventare la semplice vittima degli eventi, “quella che è stata strangolata da Bojack Horseman”. È la regina del compromesso, sia quando va a suo favore, sia quando serve per proteggerla dalle delusioni. Il suo cuore non può rompersi, perché è già rotto dall’inizio, a differenza del groviglio di storture e paradossi di cui sono fatti gli altri personaggi.

Trovo che introdurre Gina in questo momento della serie sia stata una scelta azzeccata, per controbilanciare la costanza emotiva ricercata da tutti i personaggi con il suo lato oscuro, l’accomodamento. Gina è un personaggio sostanzialmente passivo, che osserva e prende le cose come vengono; difende i suoi interessi, ma con un egoismo dettato dalla sopravvivenza, non dal narcisismo; è il sogno infranto che diventa la banale realtà, ed è per questo l’antagonista emozionale della stagione. Un ottimo lavoro creativo e un perfetto esempio di come la tristezza si possa tramutare nell’apatia esistenziale.

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BOJACK

In questa stagione, tutti i personaggi di Bojack Horseman ruotano intorno al suo protagonista in maniera più o meno diretta, inquadrandolo più che mai come la chiave di volta.

Se però tutti cercano la propria stabilità, Bojack non cerca niente: recita in Philbert solo perché l’ha promesso a Princess Carolyn, si immedesima nel suo personaggio fino a “portarselo a casa” e renderlo un sostituto del suo occhio interiore, e vive la relazione con Gina con l’idea di renderla stabile, ma con la certezza che non sarà mai così. L’assenza di una direzione è peggiorata dalla morte della madre, alla quale segue un intero episodio di monologo-elogio funebre (coraggiosa prova degli autori, che ritengo perfettamente riuscita), in cui Bojack ripassa il valore che hanno avuto i suoi genitori nella sua vita, tutto il tempo perso a cercare un contatto, e l’illusione di averlo ricevuto con un “I see you” che lascia l’eterno dubbio.

“Mia madre è morta, e ora tutto va peggio”. La dipendenza dai farmaci antidolorifici lo allontana da Hollyhock, ancora traumatizzata dagli avvenimenti dell’anno precedente e lo aliena dal resto dei suoi amici, trascinandolo in un vortice in cui, alla fine, rischia di uccidere Gina in un impeto di rabbia. Diane lo accompagnerà quindi in un centro di recupero per tossicodipendenti, che sembra l’unico modo di tenere in piedi un corpo che regge a malapena un’anima al suo interno.

Per comprendere l’interiorità di Bojack, che rimane largamente oscura nonostante cinque stagioni passati a ispezionarla, è utile far riferimento alle varie allucinazioni che vive durante la crisi d’astinenza, nelle quali troviamo alcune immagini simboliche molto efficaci ed espressive.
La prima è la scala che conduce all’enorme Bojack-pallone, sul quale il protagonista si vede e rispecchia, pur mantenendosi a una sottile distanza, come a voler rimarcare la differenza tra l’attore-Bojack e la persona-Bojack, il pubblico contro il privato, l’immagine esterna di sé contro la verità; la sottile patina d’aria trasmette l’idea di vicinanza, di vuoto colmabile, ma al contempo della difficoltà di compiere il passo cruciale e, semplicemente, tendere la mano.
La seconda è l’intera sequenza del musical, in cui Gina canta della pietà di mettere in scena la propria tristezza al fine di protrarre il proprio personale show, che, oltre ad essere un monito a non vivere la vita crogiolandosi nella disperazione, è un espediente meta-narrativo che comunica il cambio strutturale della serie stessa, passando da un’impostazione in cui il feticismo della psicopatologia ha acchiappato molti spettatori, fino a un presente in cui la depressione non è che una parte di Bojack Horseman, da mostrare senza renderla desiderabile e senza sminuirne la complessità.

Bojack non trae nessun insegnamento esplicito da questi incontri allucinatori, ma si rende conto inconsciamente della necessità di prendere in mano il suo dolore. Si fa portare in riabilitazione, e quello che ne uscirà nella sesta stagione sarà la versione che, si spera, chiuderà la sua storia.

CONCLUSIONE

Bojack Horseman non sembra aver perso lo smalto, né la voglia di raccontare. La differenza sostanziale sta nell’aver superato la schadenfreude che l’ha resa celebre, rinunciando all’infinito valzer di disturbi mentali e incapacità relazionali dei personaggi, pagliacci sofferenti che fanno gioire il pubblico, per transitare verso una narrazione che valorizza i vissuti normali, i drammi più semplici e meno strambi, a tratti quasi da sit-com.

Alla luce dei nuovi eventi, si vede chiaramente come la stagione precedente fosse una parentesi necessaria per comprendere meglio questi dodici episodi, in cui ognuno cerca soluzione al proprio puzzle mentale alla luce del passato e in vista di un pacifico futuro. Il leitmotiv è la ricerca della stabilità e, benché sia tutto lungi dall’essere risolto, i sentimenti sono indirizzati verso una maggiore serenità, coadiuvata anche da un’impostazione scenica meno dispersiva (praticamente tutti i personaggi principali ruotano intorno alla creazione della serie Philbert: Bojack, Gina e Mr. Peanutbutter come attori, Diane, Todd e Princess Carolyn nella produzione), che concede allo spettatore la comodità di non dover raccapezzarsi tra diversi scenari e di godersi un unico, robusto palcoscenico.

La quinta stagione di Bojack Horseman è ottima, non delude in nessun istante, scorre piacevolissima, e riesce nell’intento di non lucrare sulla glorificazione del malessere mentale. Come accennato, la speranza è che la sesta stagione sia l’ultima, così da non annacquare l’incredibile lavoro che sono riusciti a mostrare.

Ogni storia ha la sua fine, e quella di Bojack Horseman appare sempre più vicina.

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