Animali Fantastici: I Crimini della Rowling

Animali Fantastici: I Crimini della Rowling

[È una recensione-analisi con spoiler, inevitabili perché gran parte del nucleo della critica risiede in eventi che vanno citati per forza. Non è adatta ai Potterhead deboli di cuore.]

In tedesco, si usa il termine Fremdschämen per descrivere l’imbarazzo che si prova nei confronti di azioni compiute da altre persone. È quella sensazione sottile, fastidiosa, che si vorrebbe annullare intercedendo per chi sta compiendo una valanga di errori e sbagli, ma al contempo si è impossibilitati dall’impotenza, dalla passività, e dal dover accettare che alcune cose, semplicemente, non dipendono dai nostri desideri.

Guardare Animali Fantastici: I Crimini di Grindelwald, secondo capitolo della saga in cinque film su Newt Scamander, è stato un continuo imbarazzo, disgusto e terrore nei confronti della sceneggiatrice e autrice della saga, J.K. Rowling, che è anche l’unica scrittrice al mondo impermeabile ad ogni critica e osservazione che le si rivolge, in grado di deflettere ogni avversità, mantenendo al contempo potere di vita e di morte sulla propria storia, a quasi ogni livello di produzione. Questa posizione privilegiata, sostenuta dall’enorme impatto di Harry Potter nei primi dieci anni del 2000, le ha permesso di rivisitare una sezione del suo mondo, che nella storia principale è perlopiù accennato, e approfondire alcuni personaggi ed elementi che hanno poi dipanato le avventure del piccolo mago.

Innanzitutto, mi rendo conto di non partire da una posizione neutrale. Ho letto Harry Potter da bambino, ne ho amato il mondo e i suoi protagonisti, ho visto e rivisto i film pur evidenziandone problemi di trasposizione, e trovo che nel suo complesso sia un fantasy young adult di pregevole valore, pur con alcuni buchi narrativi che, comunque, non ne intaccano profondamente l’impianto. Ho visto il primo film di Animali Fantastici non aspettandomi le stesse emozioni e, al netto di una sostanziale banalità, mi son goduto la storia e il personaggio di Newt Scamander senza inalberarmi in guerre fratricide tra chi lo riteneva orribile, chi bello, e chi (come me) trova in definitiva sostanziale disinteresse.

Ne I Crimini di Grindelwald, però, ho visto così tanti elementi che hanno risvegliato l’appassionato di Harry Potter rimasto sopito nei dormitori di Hogwarts, che non voleva lasciare impuniti alcuni scempi, e desiderava vendicare verbalmente i sopprusi. La pellicola soffre di dozzine di incongruenze con la saga originale, alcune di minore entità, altre talmente grandi da risultare insopportabili agli occhi e alle orecchie degli appassionati. Nei prossimi paragrafi entrerò nel dettaglio di queste e altre problematiche.

Alla fine di questo secondo capitolo, è chiaro come Animali Fantastici non sia unicamente la storia di Newt Scamander e delle sue ricerche, a cui Eddie Redmayne dà un’interpretazione convincente, per quanto il personaggio non sia mai mostrato nei romanzi e sia famoso unicamente per il manuale su cui Harry studierà in futuro. Le vicende di Scamander diventano infatti un pretesto per raccontare gli albori del movimento con cui Gellert Grindelwald, gestito da un adeguato Johnny Depp, riunisce molti maghi sotto il vessillo della purezza di sangue contro i mezzosangue, i mudblood e i babbani.

Questo tema, centrale anche nella saga di Harry Potter, è trattato in maniera superficiale, alternando scene di ampio impatto visivo e scenico a momenti in cui diventano più importanti i comic relief degli animali di Newt Scamander. Il discorso di Grindelwald di fronte a dozzine di maghi, per esempio, centra il punto del nazismo insito nei suoi precetti, così come Queenie che, paradossalmente, tenta di convincere Jacob a unirsi alla causa, che evidenzia la potenza retorica e suadente di Grindelwald. Scene come queste sarebbero potute essere la colonna portante del film, ma sono state inghiottite da eventi di contorno, da una sostanziale piattezza espositiva e, immagino, dalla necessità di allungare la guerra nei prossimi tre film.

Il rapporto tra Silente e Grindelwald, altra potenziale colonna della storia, è trattato in modo imbarazzante con una decina di incongruenze che culminano nel plot twist finale, in cui si scopre che Credence, l’Obscuriale che ha causato problemi in entrambi i film di questa serie, è in realtà un certo “Aurelius Silente“, prima e unica volta in cui viene nominato in tutte e due le saghe.

Questo è a mio avviso il punto più basso di tutto il film, e non solo per l’evidente shock value della rivelazione. Come ho già avuto modo di argomentare, cinema e romanzi hanno tempi e necessità differenti, e pertanto non mi attendevo una trasposizione fedele della storia di Silente e Grindelwald. Al contempo, tuttavia, sono stati cancellati tutti gli elementi che rendevano questo conflitto interessante. Il non meglio precisato “patto di sangue”, elemento che impedisce a Silente e Grindelwald di combattere, sostituisce interamente la tragedia familiare di Silente, che vede uccidere la sorella durante un duello con Grindelwald e, per questo, rifugge un ulteriore confronto con l’ex amico. L’amore omosessuale di Silente verso Grindelwald, che lo ha reso cieco verso i suoi veri propositi, è completamente assente. Silente stesso, poi, non vede la sua famiglia nello Specchio delle Brame, ma Grindelwald, per quanto la prima fosse una ferita nel suo cuore molto più profonda della perdita dell’amico. Il rapporto complicato tra Silente e Grindelwald viene insomma ricondotto a una sorta di “grande amicizia finita”, in cui due maghi che si consideravano fratelli ora non possono più scontrarsi, per ragioni lasciate, almeno per ora, alla fantasia dello spettatore.

Potremmo attenderci, a questo punto, che il focus sul personaggio di Silente emergerà nelle pellicole successive, aiutato da una adeguata interpretazione di Jude Law, e lasciando un briciolo di speranza a un destino altrimenti infausto. Tuttavia, la scoperta di “Aurelius Silente” potrebbe mettere una pietra tombale su questo auspicio, o quantomeno riformularlo in chiave completamente stravolta. Non importa poi quale sia il grado di parentela tra i due Silente, questa rivelazione non fornisce alcun elemento aggiunto: si tratta di un fragile pretesto per arricchire la storia personale del futuro preside di Hogwarts, la quale, però, aveva già tutti gli elementi per risultare avvincente sul grande schermo, a beneficio della ricchezza narrativa e dell’approfondimento del personaggio. Certo, resta la possibilità che Aurelius Silente andrà solo ad affiancarsi ai fratelli Albus, Aberforth e Ariana, ma tutti i punti sopra evidenziati avrebbero potuto muoversi da soli, senza bisogno di un artificio aggiuntivo che la Rowling ha voluto utilizzare, e che probabilmente non riesco a capire a fondo.

Trovo importante, infine, evidenziare alcune incongruenze secondarie della trama. Da sole sono un prurito narrativo, ma insieme diventano un fastidio non indifferente per chi ha ben in mente i ricordi della saga di Harry Potter (ai quali, ipotizzo, è largamente indirizzata l’intera pentalogia).

La prima è la re-interpretazione dell’incantesimo Oblivion ai danni di Jacob Kowalski il quale, pur avendolo subito in pieno alla fine del primo film, dimostra di non aver perso i ricordi del mondo magico. Il film spiega questa faccenda con “l’incantesimo cancella i ricordi brutti, ma Jacob aveva quasi solamente ricordi belli”. L’espediente viene presentato come indolore, e serve per reintrodurre il personaggio nella storia, ma cancella con un colpo di spugna l’unico climax interessante che si era visto nel film precedente, con il dolore di Queenie e la tristezza di Newt nell’azzerare i ricordi del Babbano per proteggere la sua incolumità. Inoltre, crea enormi problemi per eventi ampiamente più importanti per la saga principale, come l’abuso dell’Oblivion da parte di Gilderoy Allock ne La Camera dei Segreti, utilizzato per cancellare i ricordi di maghi famosi, oppure quello che Hermione utilizza sui suoi genitori ne I Doni della Morte, per proteggerli dalla persecuzione di Voldemort: in entrambi i casi, l’Oblivion non è un incantesimo selettivo, quindi non si capisce perché lo debba essere per Jacob.

In secondo luogo il personaggio di Nagini, la cui importanza negli eventi del film è risibile, e non giustifica il dare una storia all’animale da compagnia di Lord Voldemort. In Animali Fantastici scopriamo che Nagini, prima di essere il sesto Horcrux del Signore Oscuro, era in realtà una donna, condannata a trasformarsi in serpente fino al punto in cui sarebbe rimasta rettile per tutta la vita. Anche ammettendo che questo personaggio possa vivere quasi cento anni, la storia non ci spiega in nessun modo quale sarebbe il valore aggiunto di Nagini alla narrazione, nemmeno nell’ottica della sua vicinanza con Credence. Un destino simile è dato a Nicolas Flamel, il quale funge da fanservice di contorno per gli appassionati della saga, ma il suo rapporto con Silente e il suo ruolo nella costruzione della Pietra Filosofale vengono del tutto tralasciati. Rimane, ovviamente, la possibilità che i film futuri donino a questi personaggi una loro dignità, per quanto la loro introduzione resti un punto interrogativo.

Infine, la professoressa McGranitt che viene mostrata come docente a Hogwarts in un periodo in cui non era nemmeno nata, oltre a Silente che insegna Difesa contro le Arti Oscure in diversi momenti del film. Se quest’ultima modifica è ancora passabile (Trasfigurazione è molto meno affascinante come materia scolastica), non si capisce la necessità di aggiungere Minerva McGranitt in un intermezzo, con un ruolo assolutamente inutile, che non contribuisce alla storia e fa solo arrabbiare i fan. È, per quanto mi riguarda, la ciliegina più insopportabile dell’intera torta cinematografica.

(Tutte le mie reazioni durante il film. L’ultimo è uno sguardo pietrificato.)

In conclusione, Animali Fantastici: I Crimini di Grindelwald è un paio d’ore di computer grafica eccezionale montata su eventi banali, con incongruenze che sfiorano il ridicolo, quando non sono incomprensibili nell’economia generale della storia. La narrazione viene sorretta dalla memoria di Harry Potter e dalla presenza scenica di Redmayne, Law e Depp, e se questo secondo aspetto rende sopportabile la visione, il primo viene continuamente lacerato dalla sua stessa madre, rendendo ancora più doloroso il risultato. La ragione per cui sia avvenuto questo scempio narrativo mi è ignota, e la trovo ancora più ingiustificabile dati gli svariati esempi di ottima scrittura e di profonda caratterizzazione che la Rowling stessa ha generato, alla quale avrebbe potuto attingere a piene mani, e che ora ha deciso di accantonare in favore di espedienti più fragili, realizzazioni più piatte, e problemi che non sembra intenzionata a sanare.

Probabilmente il mio è solo uno sfogo amaro. Il botteghino è a favore della produzione di questa saga, e il largo spazio ancora concesso lascia molto tempo per approfondire i suoi punti deboli e, perché no, correggere gli sbagli. Il futuro è incerto, è la realtà a non sembrarmi avvincente.

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