La mia esperienza nella giuria volontaria di un festival cinematografico per esordienti.

La mia esperienza nella giuria volontaria di un festival cinematografico per esordienti.

Considerando che questa piccola opportunità mi è giunta tramite e-mail, e che sono solo uno dei tanti stimo 100 persone fra le due sale in cui avvengono le proiezioni che hanno fatto domanda di partecipazione ed esprimeranno il proprio parere sulle proiezioni in programma questa settimana per il Concorso Rivelazioni della X edizione del Festival Piccolo Grande Cinema, sento comunque di potermi ritenere fortunato. Per quattro sere questa settimana sarò immerso nel buio di una delle sale cinematografiche che più preferisco a Milano, a contatto con le pellicole d’esordio (i.e. tre opere prime ed un’opera seconda) di registi che saranno poi in sala per poter aggiungere con maestria, in mezzo alle confuse domande che dal pubblico non possiamo esimerci dal fare, quelle informazioni che temono possano non essere state trasmesse del tutto, o per fornirci altre chiavi di lettura.

Le domande nate alla fine della proiezione di CONTROFIGURA (06/11) hanno portato la regista Rä di Martino ad analizzare a ritroso gli aspetti più o meno ovvi della produzione del suo primo lungometraggio: agli elementi più poetici ed immediati legati ad un protagonista non-attore che mostra tutta la sua umanità, si contrappone una più riflettuta ricerca meta-cinematografica dei vari piani paralleli della narrazione, in cui non è netta la separazione tra reale e non-reale né si vuole che lo sia. Come fece Jafar Panahi ne LO SPECCHIO, questo film nel film non si piega al divertissement dei dettami del genere, in cui normalmente davanti allo spettatore si dischiude una pellicola al cui interno ci sono persone che ne creano un’altra come fosse una cornice dentro la cornice. Qui invece la realtà si dipana dalla finzione: il film del regista iraniano deraglia per inseguire la bimba attrice infastidita dalle riprese che scappa dalla troupe ed attraversa Teheran per tornare a casa, mentre quello dell’italiana alterna i risultati delle riprese con episodi di backstage della produzione e della preparazione alle inquadrature. Le telecamere e le voci di questi film inseguono la realtà, e mistificano con impurità tecniche che aumentano il realismo dell’imprevisto: la bambina fugge e quaranta adulti la inseguono a distanza, e le reazioni umane degli attori e collaboratori possono avere libero sfogo davanti alla telecamera. Eppure non si ha alcuna percezione di essere stati ingannati. Per quanto il film nel film sia il remake almeno parziale di UN UOMO A NUDO e solo tre scene dell’originale siano state rifatte più volte e con attori diversi queste guidano lo spettatore con delle immagini in un territorio cinematografico conosciuto: scene romantiche hollywoodiane che non risultano strane nemmeno quando interpretate da attori marocchini musulmani che mai darebbero voce a parole del genere nella vita di tutti i giorni. Lo spettatore è dunque a proprio agio per metà del film, ma lo scopo della pellicola è di condurlo dalla sceneggiatura di un americano che vuole nuotare a casa attraverso tutte le piscine degli amici del quartiere, alla storia per immagini della controfigura per le inquadrature mentre corre in costume per le vie di Marrakech tra gli sguardi dei passanti ripresi. Ed anche le scene canoniche subiscono un’involuzione con l’avanzare del film: dalla naturalezza più totale degli attori marocchini, si arriva alla teatralità eccessiva (e voluta, immagino) di Timi e Golino. L’intento è il disagio. Un disagio creativo, volutamente indotto dalla regista che mira ad eliminare la maschera dell’attore: solo quando il protagonista è scalzo e corre nelle inquadrature desertiche e suburbane del Marocco scelto per quelle scene, il pubblico si avvicina alla commozione di Rä di Martino per questo ruolo tecnico da lei inventato, e con lui si distacca dalla finzione cinematografica.

La timidezza della regista sotto i riflettori della piccola sala svanisce con l’incedere delle domande in cui maggiormente risuona la sua necessità di raccontare queste sensazioni in una pellicola che prende in prestito una trama, per avvicinarsi al nuovo cinema documentaristico della realtà di Minervini, Seidl, Rosi, D’anolfi-Parenti e Tibaldi in cui la realtà non è nella fattualità, ma nell’empatia.

L’assenza di fatti, a favore di una recitazione della parola abbandonata col compito di trasmettere, sola, le informazioni è quanto maggiormente fa soffrire L’ASSOLUTO PRESENTE di Fabio Martina (07/11): la scelta cosciente del regista di utilizzare inquadrature strette per creare mondi isolati dal resto legati solo al loro punto di vista non premia una sceneggiatura in cui i dialoghi risultano poco realistici, se non addirittura fumettistici. La solitudine e l’ansia su cui sono costruiti i personaggi non arrivano allo spettatore, nonostante le scelte d’inquadratura e le ottime capacità degli attori: laddove il regista vuole parlare dei giovani d’oggi vittime dei tempi, con padri assenti (alcuni volutamente mai visti in scena) e madri inefficaci (alcune volutamente mai viste per intero) la pellicola difficilmente conferisce uno spessore alle loro storie, dato che paiono più stereotipi che persone. Qualora l’intento fosse stato quello di disumanizzarli, lo spettatore non ha informazioni per capirlo ed il pentimento finale vanifica questa ipotesi. Anti-eroi sociali e vittime del sociale, non risuonano quanto i tre protagonisti di LE HAINE (Kassovitz) in cui generazioni di ragazzi si sono rispecchiati, perché di ognuno di loro si vedevano gli aspetti umani più disparati  dal familiare, al pubblico, al privato. Pur considerando che l’espresso intento del regista fosse di non creare un palliativo sintomatico del cinema americano, ma una denuncia in chiave europea, le azioni dei personaggi hanno motivazioni troppo vaghe. Ne IL CAPITALE UMANO, Virzì disrompe la linearità cronologica del racconto per creare momenti di svolta in cui l’aggiunta di un’informazione cambia la percezione del reale e sospinge lo spettatore nelle emozioni dei protagonisti, anche quelli più deprecabili. Martina crea un mosaico narrativo in cui la non-linearità non aggiunge rivelazioni né narrative né emotive.

Il demerito di questo film altresì tecnicamente buono è di non poggiare su un mondo reale, ma su una Milano di orrori sociali da denunciare, soltanto non così. E non dopo una gestazione di quasi 10 anni.

Gli ottimi aspetti tecnici di AL DI LÀ DEL RISULTATO per quanto sia un film a basso budget vengono invece oscurati dalla magistrale capacità del giovane regista Emanuele Gaetano Forte di stendere una sceneggiatura armonica ed in cui la creazione dei personaggi è viscerale. Nonostante gli attori siano i suoi amici più stretti che interpretano se stessi nella Formia in cui sono cresciuti, ciascun personaggio è adattato ai canoni cinematografici ed ai ritmi comici che più paiono reali sullo schermo. L’ECCE BOMBO di Moretti risuona nelle conversazioni dei ragazzi, così come i giri in motorino ricordano CARO DIARIO. E come in FANTOZZI la divisione della pellicola in brevi sequenze autoconclusive non dà l’impressione di un prodotto incompleto e frammentario. L’elemento comico non riduce a sketch quello che si vede, perché ogni azione costruisce la comprensione dello spettatore per la persona non solo personaggio che osserva dalla sala, e quella persona è simbolo di un’epoca: il film non parla dei ventenni italiani in crisi, ma della ricerca di un significato al riguardo. Nulla di questo film è più distante dalle aspettative che si hanno per un’opera prima fatta con così pochi soldi, durante l’arco di tre inverni negli unici momenti sufficientemente liberi (i.e. le vacanze natalizie). Ogni inquadratura è perfetta nella sua casualità ricercata. Ogni sequenza è familiare anche a chi non ha mai vissuto la bellezza del mare d’inverno, né la noia della vita in provincia per quanto i protagonisti l’amino più delle responsabilità delle grandi città. E ciascuna scelta narrativa è sottile, e l’assenza dei padri è più armonica rispetto a quanto operato ne L’ASSOLUTO PRESENTE: nulla di quanto fatto da Forte risulta maniacale.

È persino difficile valutare la durata del film dati l’empatia per le vicende e la simpatia per la condizione ed il piacere visivo per inquadrature come quella del motorino ripreso attraverso gli alberi dall’altra parte di un canale, in cui i tagli del montaggio danno ulteriore ritmo ad un risultato cinematografico e meta-cinematografico in cui la necessità dell’artista di esprimere un sentimento è più forte di qualsiasi ristrettezza apparente.

Con meno ristrettezze economiche ed un’ottima capacità nel trovare finanziamenti e fondi, DOPO LA GUERRA di Annarita Zambrano irrompe nella tematica delle lotte armate studentesche degli anni ‘80 con un approccio delicato – focalizzato sulla dimensione umana dei personaggi che gravitano attorno ai fautori della violenza del passato, con tutte le responsabilità e le opportunità che i successivi venti anni hanno disposto. I volti noti di Giuseppe Battiston e Barbora Bobulova – divisi nella finzione filmica tra Francia ed Italia – creano un terreno familiare grazie al quale la pellicola può mettere in luce il ruolo più interessante: la figlia adolescente dell’ex-terrorista in esilio – un personaggio di transizione la cui crescita narrativa è sottile, ma comunque chiara. Questo guida la curiosità e l’attenzione dello spettatore, che altrimenti si trova in un film tecnicamente ineccepibile, ma che suscita poco stupore. Un’ottima narrazione, che però si blocca sulle sole conseguenze quotidiane con cui si scontrano i protagonisti – senza un del tutto convincente messaggio emotivo trasmesso. La scelta – cosciente ovviamente, e giustificata a detta della regista – di un evento irruento nel finale, pare essere una soluzione sbrigativa, e vanifica ogni intento creativo.

La spiegazione data da Zambrano non convince del tutto, e purtroppo ciò che necessita di un’argomentazione postuma più o meno estesa perde d’indipendenza artistica.

Il festival è continuato anche venerdì, ma non ho potuto partecipare alla proiezione – senza però violare i termini per la partecipazione alla giuria che richiedeva la visione di almeno quattro film. Stasera avrà luogo la premiazione, ma ciò che rimarrà nella memoria artistica Milanese è la necessità d’espressione dei registi coinvolti – checché io possa aver detto riguardo i loro lavori, in cui hanno riversato tanta passione e dedizione.

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