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Eleanor Oliphant sta benissimo

Ignis aurum probat.

Questa è la password del personal computer di Eleanor Oliphant, questa è la frase del De Providentia di Seneca che da sola riassume la natura di un libro che coglie alla sprovvista, impreparati alle emozioni che da sole prendono forma.

È il fuoco, solo il fuoco, l’inferno, le fiamme, a provare il valore dell’oro, il valore di Eleanor.

Eleanor Oliphant è una ragazza strana. Ha un “lavoro d’ufficio” che svolge diligentemente dal lunedì al venerdì, dei colleghi che la ignorano o al massimo la prendono in giro per le sue stranezze e nel week end la sua compagnia consiste in due bottiglie di vodka, che la cullano in uno stato di latente, dolce, protettiva semi-incoscienza.

Eleanor è il volto della solitudine, un volto sfigurato da delle cicatrici che sin dalle prime pagine fanno presagire un passato ingombrante.

Ed è proprio la solitudine l’elemento che ci rende subito complici di Eleanor.

Quella sensazione che tutti abbiamo provato e che oggi più che mai cerchiamo disperatamente di disconoscere e scongiurare, intenti ad aggiornare i nostri profili social o a interloquire con i nostri amici digitali. E, mentre si sta lì, al fianco di Eleanor, scrutando i suoi pensieri e osservandola tra i suoi demoni ci ritroviamo disarmati a guardarla in faccia, negli occhi, quella solitudine che tanto ci fa paura, quella violenza con cui la vita si abbatte sugli esseri umani.

Come può esserci una soluzione? Come può salvarsi Eleanor? Come possiamo salvare noi stessi?

La narrazione scorre leggera, sincera, con un tocco di ironia così gentile per cui all’autrice Honeyman si perdonano anche dei piccoli cliché da primo romanzo. Perché il caso editoriale di Eleanor Oliphant oltre ad essere stato definito dall’Observer “esordio dell’anno”, ad aver ricevuto più di un’attenzione dal Guardian e ad aver ispirato la realizzazione di un film (prodotto da Reese Witherspoon) è il primo romanzo di Gail Honeyman.

Quando si dice un ottimo inizio.

Gail Honeyman pubblica Eleanor Oliphant sta benissimo nel 2017, a 45 anni. L’autrice, prima dipendente pubblico e poi dipendente alla Glasgow University, scrive il suo romanzo tra le pause pranzo e dopo cena, fedele alla passione per la scrittura che l’accompagna sin da bambina. Passione che l’ha portata a partecipare a un concorso con i primi tre capitoli di quello che poi diventerà il romanzo di Eleanor ambientato in una Glasgow (dove la Honeyman vive attualmente) illuminata dal sole, delicato e caldo come solo il sole della Scozia sa essere.

I giornali di settore parlano anche di una nuova tendenza, quella del genere up-lit, per intero uplifting cioè “edificante”.

Indicando con questo termine quei libri che, appena finiti di leggere, fanno stare meglio, lasciando presagire che la vita del libro stesso non finirà con l’ultima pagina.

L’accusa dei critici a questa nuova inclinazione della letteratura è di protendere al buonismo, la risposta dei lettori è che piace. Forse, è la rivincita della dolcezza, qualità che fa meno rumore di altre.

In fondo è facile trovare la recensione migliore di Eleanor Oliphant sta benissimo: è la copertina stessa. Sei fiammiferi che disegnano una casa. Legno bruciato, annerito, pezzi di scarto, che tuttavia, possono diventare qualcosa di prezioso.

Quello che è stato meno facile, mentre mi perdevo nel libro, è capire perché Eleanor Oliphant sia un tesoro, un fondamento, che per dirlo alla Ezra Pound, servirà per il resto della vita.

E la risposta forse è che Eleanor in quelle pagine ha qualcosa di Steiner, della Dolce di Vita di Fellini: “Qualche volta la notte questa oscurità, questo silenzio mi pesano. È la pace che mi fa paura, temo la pace più di ogni altra cosa: mi sembra che sia soltanto un’apparenza e che nasconda l’inferno.” Ma non è Stainer.

Eleanor ha anche qualcosa della penna malinconica di Kazuo Ishiguro, premio Nobel della letteratura nell’anno 2017 “Per aver rivelato l’abisso al di sotto del nostro senso illusorio di connessione col mondo, in romanzi di grande forza emotiva”. Tuttavia Eleanor non è nemmeno uno dei protagonisti di “Quel che resta del giorno” o di “Un artista del mondo fluttuante”.

In Eleanor, ci sono un po’ delle note di Angel of Harlem, ma non è l’angelo di cui parla Bono Vox:

“Blue light on the avenue
God knows they got to you
An empty glass, the lady sings
Eyes swollen like a bee sting
Blinded you lost your way
Through the side streets and the alleyway
Like a star exploding in the night
Falling to the city in broad daylight
An angel in Devil’s shoes
Salvation in the blues
You never looked like an angel
Yeah… yeah
Angel of Harlem”

La verità è che Eleanor Oliphant è un libro con un’anima così grande da racchiudere tante delle numerose facce dell’universo, e contemporaneamente riesce a rimanere se stessa, nel suo essere ferita ma non inerme, nel suo essere perseguitata ma mai vittima.

Unica.

Eleanor Oliphant è semplicemente e grandiosamente unica e… Sì, Eleanor Oliphant starà benissimo.

 

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