“Si vive finchè si può danzare”

“Si vive finchè si può danzare”

A 25 anni dalla morte di questo grande personaggio, il regista Jacqui Morris ha portato nelle sale cinematografiche la vita di Rudolf Nureyev.

Definirlo solo come ballerino è riduttivo perché era una forza della natura, aveva un talento inimitabile e una vita incredibilmente piena di successi.
La sua nascita fu relativamente inconsueta, almeno per i giorni nostri: la madre incinta era in viaggio sulla Transiberiana verso Vladivostock, per raggiungere il marito che era generale al fronte. Il 17 marzo 1938 però, quando il treno era ormai nei pressi del lago Balkian, Rudolf decise di venire alla luce.
Dopo il rientro a Mosca della famiglia, vennero trasferiti a Ufa, un villaggio sperduto sotto i monti Urali. A causa del lavoro del padre, il piccolo Nureyev trascorse i primi anni della sua vita a casa, in compagnia della madre e delle sorelle che, a differenza del padre, gli permettevano di esprimersi attraverso il ballo.

Nella rappresentazione cinematografica i momenti topici della sua vita, come questo, vengono riprodotti con coreografie di un corpo di ballo di danza contemporanea, che volteggia su un palchetto con la tipica foresta di conifere come scenografia.
All’esterno del suo nucleo familiare l’undicenne Rudolf prende parte ai gruppi di ballo folkloristici coordinati dalla signora Udeltsova, la quale, vista la sua particolare inclinazione e bravura nel ballo, cominciò a impartirgli le basi della danza classica.
Grazie alla sua spinta e ai suoi insegnamenti, qualche anno dopo venne ammesso al teatro Kirov a Leningrado. La sua personalità testarda e ribelle però gli diede problemi con la residenza in cui viveva: la sera, anziché rispettare il coprifuoco, scappava per andare a vedere i balletti a teatro e al suo rientro veniva lasciato fuori in strada e senza pasti per tutto il giorno seguente. In questi casi, però, sapeva bene che poteva rifugiarsi a casa di alcuni suoi amici con cui ascoltava la musica proibita dal regime e intratteneva discorsi culturali; oltretutto fu grazie a questi se si iscrisse anche all’università.

Nel 1955 la compagnia del Kirov partì per una tourneè in Europa in cui Nureyev diede il meglio di sé e acquisì molta più rilevanza rispetto agli altri ballerini, tanto che il KGB si sentì in dovere di rispedirlo in Russia, in quanto non era accettabile per il regime socialista che un individuo, anche solo per la sua bravura, eclissasse tutto un gruppo e si guadagnasse l’interesse degli altri Stati. Quello dell’eguaglianza era un concetto così radicato nella cultura della Russia sovietica che il balletto più trasmesso, nonché amato, al tempo era “Il Lago dei Cigni”, non solo come celebrazione della nazionalità del compositore, ma anche in quanto rappresentazione di una comunità, quella dei cigni, oltre alla vicenda portante dell’opera. A livello di coreografia, il senso di comunità si traduce in un bellissimo pas de quatre, meglio conosciuto come “la danza dei piccoli cigni” in cui quattro ballerine, tenendosi per mano, eseguono i medesimi virtuosi e armoniosi passi.

Quando la compagnia era in Francia, fu organizzato un piano secondo cui Rudolf sarebbe dovuto salire su un aereo diretto in Russia e non fare più ritorno in Europa. Si ritrovò costretto e convinto a disertare, per non smettere di danzare e fare quella vita che tanto aveva agognato, e fu condannato in contumacia dal governo; non vedrà suo padre morire e riabbraccerà la madre solo sul suo letto di morte. In questo, Nureyev si contrappone al contemporaneo Yuri Gagarin che era considerato insieme al ballerino, la perfetta incarnazione dell’uomo sovietico che riesce a farsi strada e a glorificare così la sua nazione.
Da questo momento però la carriera di Rudolf decollò: ovunque andasse, veniva acclamato come una star e conobbe i più grandi ballerini del tempo, tra cui Erik Bruhn con cui ebbe anche una relazione ammirata da tutti, in cui i due danzavano insieme e si supportavano a vicenda, per i primi tempi, nonostante Rudolf superò ben presto il compagno in bravura e popolarità.

Rudolf Nureyev ed Erik Bruhn

Nel film è ben delineata la convivenza della “Beatlemania” con la “Balletmania” in cui, grazie a Nureyev, il balletto ebbe un successo paragonabile a quello che contemporaneamente stava avendo la band di Liverpool.
Nureyev chiese anche a Margot Fonteyn, la splendida étoile del Royal Ballet, di diventare la sua compagna di ballo fissa, nonostante lei fosse più anziana di lui. E vederli danzare insieme era un’esperienza unica perché, oltre ad esecuzioni tecnicamente perfette, portavano sul palco interpretazioni che riuscivano sempre a coinvolgere il pubblico. Gli ammiratori erano talmente devoti a loro che quando vennero arrestati, piuttosto che risentirsi, si accalcavano per andare a liberarli o pagare la cauzione.

Rudolf Nureyev e Margot Fonteyn

Un’ altra importante conoscenza di Nureyev fu quella con Martha Graham e la neonata danza moderna-contemporanea di cui fu ben felice di impararne le tecniche, derivate direttamente dalla danza classica, e i passi.

Il 1991 segna l’inizio della fine per la carriera di questo fenomenale ballerino. In quest’anno infatti vede morire a causa del cancro Margot Fonteyn, senza la quale la sua arte e la sua dedizione, non furono più le stesse.
Come se ciò non bastasse era da tempo malato inconsapevolmente di AIDS, a causa della quale morì due anni dopo la Fonteyn. Tale malattia era infatti un grosso problema negli ultimi decenni del ‘900, a maggior ragione perché si sapeva ben poco di come se ne venisse in contatto e ancor meno se ne conoscevano le cure.

Jacqui Morris infatti dedica buona parte del film a mettere in guardia lo spettatore sulla prevenzione contro un male non propriamente curabile e che ha tolto a un uomo straordinario come Rudolf Nureyev, prima la danza e poi la vita.

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