ROME, ITALY - OCTOBER 26: Diego Maradona of Napoli in action during the Serie A match between AS Roma and Napoli at the Stadio Olympico on October 26, 1986 in Rome, Italy. (Photo by Etsuo Hara/Getty Images)

D10S EXISTE: Diego Armando Maradona

articolo uscito nel 2014 sul precedente blog dei Birbanti

Raccontare Maradona vuol dire per forza sminuirlo, tradirlo in qualche modo. E’ la quantità della sua vita ad impressionare, non certo quella degli anni vissuti. E’ l’eccesso infinito, l’eccezione costante, la fierezza di un guerriero e la semplicità di un bimbo che vivono la stessa anima, senza contendersela. Nessuno come lui è stato così grande e piccolo, così forte e debole, soprattutto così osannato e solo nello stesso istante e per tutta la vita. Ma quella di Diego non è mai stata una personalità a due facce, anzi. E’ stata la sua coerenza ingenua a renderlo generoso con alcuni e distruttivo con se stesso, la sua ineducazione a renderlo inguaribile e sfruttato.

Questo non sarà un resoconto imperfetto della sua vita fatto di date, eventi e numeri: piuttosto un piccolissimo tributo alle emozioni che la storia di Maradona regala a chi le si avvicini senza giudicarla.
La sua vita comincia, è noto, nella povertà più nera, a Villa Fiorito, periferia di Buenos Aires. E’ il quinto degli otto figli di Diego senior e Dalma Salvadora Franco: a sua madre andrà tutto l’amore, tutta la riconoscenza. Ultimamente ha raccontato, commosso, come Donna Tota digiunasse quasi ogni sera per non far mancare il cibo ai tanti figli, con lo slancio generoso che solo una madre può avere. Per il resto c’era il calcio, solo il calcio. A dieci anni Diego è già celebre per le sue capacità straordinarie, non mancano servizi della televisione locale sul suo talento. Gioca tra i pulcini dell’Argentinos Junior, prima di compiere sedici anni debutta in prima squadra, un mese dopo è titolare, un anno dopo in nazionale. Gioca come nessuno, con un pallone sgonfio o un’arancia. L’Argentina si appresta ad organizzare i suoi Mondiali, nel ’78 ma il commissario tecnico Menotti vuole solo gente d’esperienza, così Maradona viene mandato a vincere i Mondiali under 20, a detta di Diego la sua esperienza più divertente. Ovunque vada, fra giovani o adulti, è lui il leader, e non solo in campo. Durante le partite i palloni arrivano sempre a lui, se c’è da discutere con il presidente del Boca anche i suoi compagni ultratrentenni si riparano dietro di lui. A vent’anni è già la star della Coca-Cola e di molte altre pubblicità: il mondo è tutto al suo piede sinistro. Nei Mondiali ’82 lotta contro i limiti della sua squadra: inizia bene segnando due gol all’Ungheria, viene fermato da Gentile contro l’Italia e si fa espellere contro il Brasile. Può fare molto di più. Nel frattempo ha un suo manager che lo aiuta, Cysterpiller, e un suo clan: gente che lo serve, che lo venera, che lo sfrutta.
Quell’estate viene comprato dal Barcellona del presidente Nunez, inaugurando un periodo arido. Maradona si allena poco e vive molto: comincia a spendere troppi soldi per sé e per il suo gruppo, si indebita persino col suo allenatore. Sul campo subisce un gravissimo infortunio per un fallo da macellaio di Goikoetzea: frattura della caviglia con interessamento del legamento. E’ molto probabile che la passione per la cocaina sia iniziata a Barcellona: comunque sia la società si stanca di inseguirlo, perfino Cysterpiller lo abbandona. E’ solo per queste condizioni che chiede di essere ceduto al Napoli. Ferlaino, presidente della squadra partenopea sa che corre dei rischi ma che certamente vale la pena provare.

E’ il luglio del 84′ e Napoli è già in delirio: i quotidiani locali stampano le edizioni straordinarie, i giornalisti di Napolinotte regalano il giornale alle auto in coda sul Corso Vittorio Emanuele, mentre vanno a far festa a Mergellina. Poi la famosa incoronazione al San Paolo, che si riempì come mai era accaduto. Bambini e vecchi a guardare con gli occhi spalancati Diego, che regalò qualche palleggio, qualche sorriso, una punizione meravigliosamente bella e poche parole urlate al cielo: “Grazie Napoli!”.
Poi è accaduto l’incredibile, e anche di più. Per Napoli Maradona è stato tutto, il più bel romanzo d’amore fra una città e un giocatore, senza paragoni. Diego è stato una sorta di figlio adottivo fatto a perfetta immagine dei genitori acquisiti: più napoletano della genialità partenopea, più napoletano delle miserie umane di Napoli. E’ scosso dall’amore folle della gente, continua a fare vita a sé, ma sente la passione travolgente di chi, pur in mezzo a mille difficoltà, trovava con lui una gioia mai provata prima. La Napoli che non dimentica racconta con un malinconico brivido quel che succedeva alla fine di ogni allenamento, sul piccolo campo di Soccavo, al Centro Paradiso, sede sportiva azzurra. Gli scugnizzi si mettevano buoni, per una volta. In silenzio, insieme agli altri giocatori, all’allenatore e ai giornalisti, infilavano il naso nella rete di delimitazione e facevano fatica anche a deglutire: lui giocava, si divertiva con il pallone, da solo, come un bambino. Lo spettacolo più bello mai visto non poteva che essere spontaneo. Quei palleggi infiniti e improvvisati con ogni parte del corpo, il suo numero tipico, il “giro del mondo”, che eseguiva in maniera unica: un’adesione al pallone morbidissima che gli permetteva di palleggiare con la sfera quasi senza farla girare, controllandola poi con la stessa delicatezza. Aveva dentro di sé un’incredibile conoscenza della fisica del pallone, che esternava soprattutto nella naturalezza di quegli allenamenti solitari.
A Napoli vince praticamente da solo due Scudetti (’87 e ’89) e una Coppa Uefa (’89). E’ come se portasse in braccio tutta la città. Napoli impazzisce di gioia rivelandosi nel suo lato più bello. Io non so quale sia la più bella poesia mai scritta sul calcio, ma davvero mi è rimasto nel cuore uno striscione raccontato da Ciro Ferrara dopo il primo Scudetto, lasciato sventolare affianco al tipico bucato appeso nei quartieri poveri: “Me pensavo ca murevo e ‘stu juorno nunn’o vedevo”.

 

L’abbraccio dei napoletani è così forte da divenire fin da subito asfissiante. Diego non può praticamente uscire di casa, ed è anche per questo che aspetta la notte. In mezzo a tutti i successi, i trionfi, troviamo ovviamente anche il marcio. Il Maradona dei night, delle frequentazioni imbarazzanti, di Carmela Cinquegrane, la maitresse dei Quartieri Spagnoli che gli procurava donne e roba, delle salette private in cui appartarsi con la prostituta di turno. E poi, ancora peggio, i rapporti equivoci con la camorra, le fotografie nella vasca da bagno d’oro con Carmine Giuliano, detto O’ Lione, i proiettili “firmati” contro la sua auto. Di tutto e di più, le accuse sacrosante e i pettegolezzi infami, come il pentito Pugliese che lo accusò, oltre che di essere tossicomane, di spacciare. Un ragazzo sprofondato terribilmente negli inferi di Napoli e del suo vuoto esistenziale.

Può sembrare strano, ma per almeno cinque anni Maradona è stato un drogato e anche il miglior calciatore della storia. L’acme della sua carriera i Mondiali ’86, senza dubbio. Un Mondiale vinto da solo, la famosa “mano di Dio”, il gol degli undici tocchi partendo dalla propria area scartandosi mezza Inghilterra, i passaggi perfetti, il repertorio imbarazzante. Quel Campionato del Mondo mandò in delirio anche il popolo argentino. Mi colpiscono sempre i murales che riguardano el Diez: raccontano tantissimo del rapporto fra Diego e la cultura di quei luoghi. Le canzoni popolari che una volta erano dedicate a Che Guevara cantano da decenni il suo nome. Non è mai esistita persona che abbia portato tanta allegria in realtà povere come ha fatto Maradona. In questo, almeno in questo, è stato il più straordinario portabandiera del calcio, e nessuno può negarlo.

E qui veniamo allo stupore di inizio articolo: sono troppi gli episodi della sua vita dietro ai quali si nasconde un intero mondo; le battaglie, le relazioni, il famoso “hijos de puta!” urlato in faccia ala telecamera ai tifosi romani che gli fischiavano l’inno. Decisamente troppi, e non è possibile riassumere la sua vita in così pochi fotogrammi. Maradona ha avuto tanti torti, tantissimi. Una biografia estremamente complessa in cui diventa impossibile districarsi tra responsabilità personali e ambientali, sperpero e sfruttamento, coraggio e delirio. Ha avuto anche ragioni, come negli attacchi ad Havelange, Blatter, Matarrese e ad altri potenti del calcio. La conseguenza della sua vena autodistruttiva è stata quella più naturale: andare a fondo senza trascinare i suoi sfruttatori nel baratro, continuando ad essere adorato.

Nel ’91 arrivò una squalifica grave dopo una partita col Bari per doping (la coca ovviamente): 15 mesi fuori. L’Inizio della fine. La fuga da Napoli, gli arresti, la guida pericolosa, la dipendenza dalla droga arrivata a livelli disperati. Alcune volte si racconta che si sia lasciato male con Napoli, ma non è così. E’ evidente. A Montecalvario come alla Sanità, a Posillipo come ai Quartieri Spagnoli, è sempre presente, ovunque, come se giocasse ancora. Si vendono ancora le sue maglie, è citato nella simpatia finta e autocompiaciuta di certi ambienti (la scritta “Per noi Maradona è un poeta” alla Feltrinelli della stazione) così come nell’anima vera di Napoli: il famoso “altarino di Maradona” con le sue foto, i santini e un suo presunto capello tenuto sotto teca. La carriera da calciatore di Diego è praticamente finita a Napoli, ma la loro storia d’amore va avanti.

Maradona fece in tempo a segnare un ultimo gol a un Mondiale, quello del ’94, e fu bellissimo. Era ormai un ex calciatore, ma sottoponendosi ad una dieta ferrea era tornato in condizioni accettabili. La sua presenza era stata fortemente voluta per scopi commerciali, probabilmente accompagnata da garanzie (poi tradite) di non sorteggiarlo al controllo antidoping. Era cocainomane confesso e aveva assunto anche dell’efedrina, sostanza usata per sopportare la fame durante le diete estreme. Fu sorteggiato dopo quel gol meraviglioso, seguito dall’urlo liberatorio, e il suo Mondiale finì subito. Oltre al danno, la beffa: si sentì usato, aveva ragione.

Non c’è molto altro da dire. E’ stato più volte sul punto di morte, si è gonfiato a dismisura riuscendo poi a rientrare nel peso forma, ha avuto problemi col fisco italiano per un vecchio contratto col Napoli e ha allenato l’Argentina in un Mondiale. Se l’è cavata. E’ sopravvissuto, è uscito dal tunnel della droga e ha trovato una maggiore stabilità emotiva. Speriamo che riesca a risorgere ancora meglio col passare degli anni.

Non ci sarà più un giocatore in grado di incarnare un mito come Diego. E’ stato un paradigma di bellezza, la fantasia al potere, il genio che supera naturalmente la regola. Chi lo adora osserva il suo lato oscuro senza giudicare, talvolta considerando i suoi difetti come pregi visti di spalle. Gli altri… que la chupen, y sigan chupando.

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*