Leopardi tra le stelle: un po’ poeta un po’ scienziato

Leopardi tra le stelle: un po’ poeta un po’ scienziato

Astronomia e Leopardi, due nomi che non vengono associati spesso, o almeno non quanto dovrebbero. Si pensa sempre a Giacomo come a un letterato, il poeta dell’infinito e del pessimismo, non si dà molto credito alla sua parte più scientifica. Eppure ha scritto molti testi inerenti al mondo stellare, e molte delle sue opere più famose e studiate a scuola hanno come tema principale l’universo e le sue costellazioni.

Lunedì 13 novembre 2017 all’Officina del planetario a Milano si è svolto “Giacomo Leopardi e l’astronomia-I giovedì universitari” uno spettacolo a cura di Monica Aimone, un modo innovativo e divertente per spiegare la letteratura e lo spazio: catapultando le persone tra le stelle e la poesia. L’atmosfera era magica e, anche se rivolto soprattutto ai giovani, l’evento era pieno di gente più adulta pronta a rivivere la poesia leopardiana.

Molti sono gli argomenti trattati durante la serata, che è durata un’ora ora e mezza circa, iniziando dai primi testi come “Storia dell’astronomia” del 1813 scritta a ben 15 anni! I temi di quest’opera sono molto attuali: si parla di creature extra-terrestri e dell’infinita estensione dell’universo. Per Leopardi la scienza delle stelle è nata con l’uomo per la curiosità e la necessità, ma soprattutto per non avere paura dell’ignoto. Giacomo continua poi con il testo “Sopra gli errori popolari degli antichi” del 1815 dove analizza le operazioni errate che hanno impedito agli uomini di giungere alla conoscenza del vero. Dopo queste opere tra il 1816 e il 1819 possiamo inquadrare tre anni decisivi in quanto si consolida la visione della vita come noiosa e dolorosa. Inoltre avvengono tre conversioni: la prima è la sua svolta letteraria dove inizia a scrivere poesie, la seconda è quella politica in cui ripudia le idee conservatrici abbracciando le idee patriottiche. Infine la terza filosofica-religiosa perché rinnega la fede per l’ateismo e l’illuminismo. Inizia in questi anni la sua voglia di fuggire via dal mondo recanatese e i suoi viaggi per l’Italia.

Continua però a tornare a casa e a guardare le stelle e il cielo, passa intere serate a contemplare e inizia a scrivere su di esse. Pensa al suo passato, la sua fanciullezza, ed è consapevole che il tempo migliore ormai è passato. Il suo animo è sempre più tormentato.

Oltre alle stelle c’è qualcos’altro che spinge la curiosità di Leopardi: la luna, la sua cara amica. Questo è un tema fondamentale, molti studiosi si sono soffermati sul rapporto stretto e dinamico che sembra legare Giacomo e la luna. Diversi sono i sentimenti che il poeta prova verso di essa e durante la serata attraverso alcuni versi, delle sue opere più celebri, si cerca di comprendere ogni stato d’animo. “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” è l’esempio perfetto dove nei versi si chiede cosa ci faccia la luna in cielo, quale sia il suo scopo:

“Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,

silenziosa luna?

Sorgi la sera, e vai,

contemplando i deserti, indi ti posi.

Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga

di mirar queste valli?”

Canto che incarna benissimo il pessimismo cosmico, la crisi interiore di Leopardi.

Si passano in rassegna anche “Sera al dì di festa“; “Alla luna“; “Sabato al villaggio“; “Ultimo canto di Saffo” e “Canto notturno” dove non c’è sempre la stessa visione, se da un lato è identificata come una forza nostalgica e piena di dolore dall’altro è colma di dolcezza e graziosità.  È comunque sempre la protagonista, parte essenziale.

Alla luna Giacomo dedicò anche “Dialogo della terra e della luna“, più leggero rispetto agli altri, anche se tocca temi eruditi come la faccia della luna; l’armonia cosmica; i possibili abitanti dei mondi extraterrestri; l’eclissi e l’aggiunta di un curatissimo lavoro di citazioni.

Negli anni 1818-1819 il mondo si stava dilatando, le nuove scoperte sull’universo erano sempre più presenti, tra cui la scoperta che il sole è una stella che si trova all’interno della nostra galassia, e anche per Leopardi qualcosa si trasforma. Scrive il suo componimento poetico più famoso “L’infinito“, attratto dal senso di illimitatezza che il cielo provoca.  Quella celebre siepe che gli impedisce di vedere, quel dolce naufragare e il senso di essere umani e di essere di conseguenza limitati.

Giacomo si pone dinanzi al problema dell’infinito in un modo che si potrebbe definire metafisico. Per lui è un sogno o un’idea, non la realtà. L’uomo prendendo coscienza della sua limitatezza potrà solo intuire l’immortalità, ma mai capirla veramente. Quindi cosa resta? La consapevolezza di poter “annegare nel mare” solo per un breve istante perché basta una siepe o un soffio di vento a riportare tutto alla propria essenza.

Verso la fine della serata astronomica sorge un dubbio: “dobbiamo considerare Leopardi come uno scienziato?”. Chiaramente non nel modo moderno del termine. Giacomo era sensibile al tema, era informato e partecipò ai dibattiti più importanti della sua epoca. La scienza faceva parte del suo mondo, inizialmente in un rapporto di amore, che diminuisce col tempo quando il poeta si rende conto di non aver ricevuto le gioie sperate. Per lui più arrivava alla conoscenza e più si veniva a formare un senso di angoscia e inquietudine.

Per concludere in un modo quasi teatrale l’evento si parla della penultima opera di Leopardi: “La Ginestra“. In questa ampia composizione si ribadisce ancora la vastità dell’universo e di come gli uomini siano così piccoli a confronto. C’è una forte presenza polemica, una sorta di testamento spirituale che Giacomo lascia ai lettori. Tutto sfocia in una luce di speranza, un pallino positivo tra tanti negativi, la consapevolezza di un destino comune e quindi di una solidarietà umana.

In conclusione possiamo pensare l’astronomia come una possibilità di fuga, un desiderio che va oltre tutto, la voglia di andare via non solo da Recanati, non solo dalle Marche o dall’Italia. Leopardi vuole raggiungere le stelle e la luna e l’unico modo per farlo è scrivere su di esse.

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