La recitazione mi ha sempre incuriosito. Se sei una persona abituata a pensare molto prima di parlare o di agire, ad osservare il tuo comportamento, criticarlo e quasi importi su te stessa per dirigerlo, capita di trovarsi a riflettere su quanto sia sfumato nelle persone, anche inconsapevolmente, il confine tra realtà e finzione.
Aprire la mente, comprendere, relativizzare, può anche confondere: spesso la pensi in un modo, ma sai che potresti benissimo pensarla in un altro, come quella tale persona che conosci o quel tale personaggio di quel tale libro; perché no?
Questo pensiero impedisce di sedersi completamente su molte certezze. Si apre un vero e proprio dibattito interno: ogni vocina è associata a un ruolo, ed è difficile identificarsi in tutto quel teatrino. Quanti ruoli posso assumere? Quante persone diverse posso essere? Sono tutte vere?
Nel maggio scorso ho conosciuto i Birbanti e ho assistito al loro spettacolo “Le donne di casa Goodfellow”. Nell’ultimo periodo ho colto l’occasione di soddisfare la mia curiosità e ho cominciato a frequentare le loro prove del prossimo spettacolo “Au Manoir Saint Germain”.
Si entra la domenica pomeriggio alle 17 in casa del regista, Alessandro Onorato, e si esce alle 20. Via le scarpe, tutti in calzini. Sarò stata l’unica, la prima volta, ad aver ringraziato di non aver messo quelli col buchino, che mi dimentico sempre di buttare, o quelli neri, simili sì, ma pur sempre spaiati, oppure ancora quelli con le angurie?
Comunque… Ci si sistema in salotto: un paio sulle poltrone, chi arriva prima; una decina per terra, tutti intorno, tra sceneggiatori, attori, spettatori, addetti alla fotografia, alla scenografia, alle musiche.
Iniziano gli esercizi per gli attori. In piedi, composti, schiena dritta, voce alta: è il momento degli scioglilingua. Si parte dai classici: “Sopra la panca la capra campa ecc.” fino ai più subdoli:
“Dai del pane al cane pazzo,
dai del pane al pazzo cane”
oppure:
“Sedendo carponi
cogliendo foglioni,
foglioni cogliendo
carponi sedendo”
Poi, più veloci, perchè se non si sbaglia non fa ridere.
Si passa ai movimenti nello spazio: dapprima gli attori camminano tranquillamente in modo sparso, poi inizia un esercizio bellissimo, che mi ha ricordato da subito i giochi da bambina, quando dovevo saltare da una piastrella all’altra del salotto evitando la lava, o camminare solo sul cornicione del marciapiede per non cadere in pasto ai feroci coccodrilli milanesi, che non aspettavano altro che io mettessi un piede in fallo.
Un po’ allo stesso modo, il regista parla e lo spazio si trasforma: “Il pavimento diventa molto appiccicoso. Muoversi è faticoso. Chissà, forse è miele, lo assaggiamo?” E giù tutti, chi con un indice, più circospetto; chi, fiducioso, con le mani a scodella, a provare un po’ della dolcezza nascosta del pavimento.
Seguono le improvvisazioni. Gli attori, in coppia o piccoli gruppi, devono portare a termine una scenetta coerente partendo da pochi spunti, come un primo appuntamento ambientato in un ristorante cinese, o l’addio di un soldato, in partenza per la guerra, alla propria ragazza.
Agli attori può essere chiesto di recitare secondo la personalità del personaggio che interpreteranno nello spettacolo principale, così da approfondirne lo studio. Infine, si passa alle prove dello spettacolo vero e proprio.
“Au Manoir Saint Germain” sarà in scena a dicembre, quindi i Birbanti sono già a buon punto e ho avuto la fortuna di assistere alle scene già quasi complete, nonché di poter rubare un po’ di tempo al regista, Alessandro Onorato, per fargli qualche domanda sullo spettacolo.
Sei il presidente, nonché uno dei quattro membri fondatori, della compagnia teatrale I Birbanti, dalla quale è poi nato il Movimento artistico. Cosa ti ha spinto a prenderti questo impegno?
ALESSANDRO: <<Innanzitutto nasco come scrittore: scrivere mi è sempre piaciuto e ho anzi sempre sentito la necessità di farlo; per quanto non fossi particolarmente popolare a scuola, sul web, nel mio blog, piacevo un sacco. I principali contatti col teatro sono stati, all’inizio, due: la proposta, da parte di un mio amico, di aiutarlo a scrivere una drammaturgia teatrale, e poi il mio debutto come attore nello spettacolo “Le mille e una notte” da una felice intuizione di Stefania Berna, mia prima regista.
Due anni dopo io, Chiara Verga, Luigi Leanza e Antonio Minnici abbiamo tirato fuori questo “gioco” chiamato i Birbanti. Dico gioco perché, pur dovendo io trattarlo con una professionalità da dirigente d’azienda, nel gruppo lo viviamo con uno spirito assolutamente giocoso.
All’epoca l’abbiamo creato con l’intenzione di portare qualcosa di nuovo nel panorama milanese, ma in realtà, allora, il massimo dell’idea rivoluzionaria che poteva venirci in mente era mettere una bambola gonfiabile sul palcoscenico e utilizzarla come attrice; invece, col tempo, siamo andati ben oltre.
Per quanto riguarda il mio ruolo posso dire che, se sul mio biglietto da visita c’è scritto “presidente”, nella mia testa sono un regista e nel mio cuore sono un drammaturgo.>>
Quanto pensi di essere cresciuto, da quando hai iniziato a fare teatro, come regista e come autore? Ci sono state delle tappe fondamentali nello sviluppo delle tue abilità?
ALESSANDRO: <<Ultimamente, come autore, forse mi sono involuto, perché ho meno tempo a disposizione e mi occupo più che altro di adattamenti. Come regista sono, viceversa, molto cresciuto, principalmente per aver avuto la possibilità, la fortuna di confrontarmi con un pubblico molto variegato, su palcoscenici molto diversi.
Credo che lo spettacolo che ha cambiato tutto sia stato il Faust, perché ci ha dato la dimensione di quello che potevamo fare e di dove potevamo arrivare.
Lo spettacolo a Londra è stato un momento fondamentale: ha dato a tutti la consapevolezza di poter fare qualcosa di molto difficile e ambizioso. E poi la tournée di quest’estate, davanti a un pubblico vasto, totalmente sconosciuto, e per la prima volta con attrezzature professionali, ha dato valore e dignità a tutto il nostro progetto artistico.>>
Parliamo del nuovo spettacolo dei Birbanti “Au Manoir Saint Germain”. Come è nata l’idea?
ALESSANDRO: <<Per cominciare, io ho un’ossessione per Parigi. Lì ho ambientato anche il mio primo romanzo. Manco dalla Cité, tra l’altro, da qualche tempo, quindi provo una certa nostalgia.
L’idea nasce dalla storia rappresentata in uno solo dei quattro corti, quello in cui reciterò, che avevo preparato da un po’. Da lì ho cominciato a pensare di raccontare diverse storie, tutte ambientate in una suite a Parigi. Ne sono nate quattro diverse.
È stato molto divertente per me lavorare sul pezzo, perché ho potuto giocare molto sull’amore che ho per la città e per il gusto francese in generale. Solo per trovare le canzoni adatte ho dovuto ascoltare tonnellate di musica francese per settimane. Il titolo, invece, deriva dal fatto che Saint Germain è il mio quartiere preferito.
Tutte le storie trattano d’amore, ma ora parlerò di due soltanto, lasciando agli attori stessi il compito di esprimersi sulle altre. Sono due storie d’amore molto diverse tra loro: una racconta un po’ l’inizio dell’amore, l’altra la fine.
La prima tratta il confine labile tra l’amore e l’amicizia, e mostra in maniera evidente come talvolta le ragazze giochino sul fatto di poter aver ascendente sugli uomini, anche sugli amici, adottando un atteggiamento ambiguo; dall’altra parte, vediamo un ragazzo che, a differenza di ciò che accade a molti cosiddetti “friendzonati” riesce, tramite una condotta un po’ fuori dalle righe, a rimischiare le carte in tavola.
Questo corto è tratto da un’esperienza di vita vissuta. Di fatto anche noi, nella vita di tutti i giorni, soprattutto in campo sentimentale, recitiamo una parte. Loro, ovviamente, portano la situazione all’estremo, perché siamo a teatro.
La seconda storia, invece, è molto più “reale” e cruda, e dà la visione di come un uomo e una donna affrontano la fine di una storia d’amore.>>
Uno dei punti salienti dello spettacolo è il monologo affidato al direttore dell’albergo. Vuoi dirci qualcosa a proposito?
<<In generale, a me piacciono molto i monologhi che parlano di vita e di esistenza. Uno per me indimenticabile è quello di Al Pacino in “Ogni maledetta domenica”: è uno di quelli che ti accompagnano, e che ogni tot vai a ripescarti su YouTube per ascoltarli venti volte di seguito. Scrivere un monologo di quel genere è ambizioso e difficile, perché in molti lo hanno già fatto e tanto è stato già detto.
Io ho scelto di impostarlo come un discorso che un uomo piuttosto avanti con l’età fa a un giovane. Ma il personaggio che tiene il monologo qui, un po’ perché la vita gli ha tolto tanto, ma principalmente per colpa sua, non ha un carattere marcatamente positivo, tant’è che spiega anche i vantaggi di bere o fumare. Lo farà, però, in un modo che lo riscatterà del tutto.>>
Le prove sono finite ed è ora per tutti di tornare a casa. Ma Afterclap tornerà a seguire i Birbanti e il loro spettacolo, con altre curiosità sul loro lavoro e interviste ad alcuni dei protagonisti.
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