Sport, Football, England, 1980, Nottingham Forest manager Brian Clough with the European Cup trophy  (Photo by Bob Thomas/Getty Images)

Brian Clough, il Robin Hood del calcio

La storia del calcio è piena di personaggi affascinanti, ricchi di talento e con storie al limite del credibile alle spalle. E’ piena di uomini che hanno deluso quando avevano tutti gli occhi puntati addosso per essere poi capaci di sorprendere quando nessuno si aspettava niente da loro. Abbonda di arroganti, presuntuosi, antipatici, vincenti e ambiziosi. Nella maggior parte dei casi, il “Dio del pallone” dona solo alcune di queste caratteristiche ad ogni eroe del gioco; ma in un caso ha deciso di racchiudere tutto in un solo uomo, trasformando questi pregi e difetti in carne ed ossa. A queste ossa e muscoli i genitori terrestri hanno dato il nome di Brian Clough.

Nato a Middlesbrough a metà degli anni 30, figlio di operai, cresce giocando per le strade cittadine sognando di vestire la maglia del Derby County, squadra di cui è tifoso fin da piccolo. Il ragazzo ha talento e riesce a farsi spazio tra i professionisti: prima la squadra della sua città e poi il Sunderland. La sua velocità lo rende un attaccante temibile, difficilissimo da marcare in un gioco fortemente incentrato sulla forza fisica come quello inglese degli anni 50.

Uno delle più belle tradizioni del calcio inglese è il boxing day, ovvero la giornata di campionato giocata il 26 dicembre. La gente si ritrova allo stadio vestita da festa, nell’aria aleggia quell’atmosfera possibile solo durante le feste natalizie. Nel giorno di Santo Stefano del 1962 Brian è in campo regolarmente con la sua maglietta con il 9 sulle spalle; durante un tentativo di anticipare il portiere avversario però, il ginocchio fa un movimento innaturale, si rompe e mette in un istante la parola fine sulla carriera agonista di questo 30enne inglese. Dopo alcuni tentativi di ritornare in campo, si rende conto che il ginocchio fa sempre troppo male e non ci sono alternative al ritiro. Clough però vuole scrivere la storia, cova dentro al cuore un’ambizione feroce che lo porta a scegliere di ottenere da allenatore quello che non ha avuto tempo di ottenere da giocatore. La prima occasione si presenta nel 1965 quando accetta l’incarico di manager all’Harterpool United, dove gli viene affiancato come assistente Peter Taylor. I dirigenti del club non avevano la minima idea che quei due personaggi avrebbero insieme scritto pagine indelebili del calcio inglese. Proprio come Robin Hood e Littler John, per anni hanno “sottratto” titoli e gloria ai più ricchi club inglese per far spazio a chi era sempre stato nell’ombra. La grandezza di Clough è stata proprio la capacità di ottenere risultati da top club allenando piccole squadre, e sempre partendo da leghe minori.

Dopo l’Harterpool arriva la chiamata del Derby County, squadra di cui è da sempre tifoso. Allora il Derby si trovava nella parte medio bassa della Serie B inglese e non era un club con particolari ambizioni. Clough arriva e in un paio di stagioni rivoluziona la squadra: inserisce giocatori nuovi, creando una perfetta alchimia tra giovane scommesse e vecchie glorie, a cui è in grado di donare una seconda giovinezza. Lui e Peter trattano personalmente ogni trattativa di mercato. Taylor ha una innata capacità di scegliere l’uomo giusto per il momento giusto. Il gioco del Derby non si è mai visti prima, riesce ad unire la fisicità e velocità tipica del calcio inglese ad un grande attenzione per la tattica e per il gioco palla a terra. Celebre il suo motto: ” Se Dio avesse voluto che giocassimo a calcio tra le nuvole, avrebbe messo l’erba lassù”. 

Al “Baseball Ground”, stadio del Derby, fanno quasi fatica a credere allo spettacolo a cui assistono ogni fine settimana. La squadra è plasmata ad immagine e somiglianza del suo allenatore: è feroce e geniale, ricca di ambizione ed arroganza. I giocatori lo seguono alla lettera, accettano critiche ed elogi che Clough regala con la stessa frequenza. Nel 1969 arriva una storica promozione in prima divisione, dopo aver dominato il campionato cadetto. Dopo due anni di assestamento in prima Divisione, nel 1971 arriva addirittura la vittoria del titolo nazionale. Clough ha fatto il miracolo. Il suo ego è alle stelle.

Nella stagione successiva l’ambizione dell’allenatore è tutta rivolta all’Europa. Vuole sorprendere anche oltre la manica, ma ci riesce solo in parte. Il suo percorso europeo finisce in semifinale contro la Juventus. Tuttavia questo scontro andata-ritorno con il club di Torino resterà celebre non tanto per quanto visto in campo ma per lo show di Clough nel post partita; convinto di aver subito un furto, convinto che l’arbitro fosse mosso come una marionetta dai dirigenti bianconeri, si rifiuta di rispondere alla stampa italiana, che appella come “Bastardi impostori”, arrivando addirittura a mettere in dubbio il coraggio dei nostri soldati nella seconda guerra mondiale. La Federazione inglese e il presidente del Derby, sentendo queste parole, vanno su tutte le furie.

Dopo quella sconfitta qualcosa si rompe. La dirigenza del Derby inizia a perdere la pazienza per le continue uscite polemiche del suo allenatore, che a suo dire infangano il nome del club. Clough non sente più la passione e l’entusiasmo attorno a sé che vorrebbe, decidendo così di dare le dimissioni. Il Derby le accetta e Clough si trova senza panchina.

Riparte quindi dalla terza serie inglese, dove però rimane solo 8 mesi, perchè arriva la chiamate del Leeds, uno dei club più vincenti negli anni 60/70, che lo sceglie per sostituire Don Revie, passato ad allenare la nazionale inglese. In queste avventura Peter Taylor decide di non seguirlo, non volendo venire meno all’impegno preso. Iniziano i 44 giorni più negativi della carriera di Clough, ben descritti dal film “Damned United”. Brian è assillato dall’idea di far meglio del suo precedessore, con cui ha da sempre una forte rivalità. Vuole fare del Leeds non solo una squadra vincente, ma anche spettacolare, elemento che secondo lui è sempre mancato al gioco di Don Revie. Il miracolo però questa volta non riesce, i giocatori lo vedono come un intruso e lo accusano di farli perdere apposta, allenandoli male e schierando i giocatori peggiori. Dopo solo 44 giorni, pochi sorrisi e tante tensioni, il Leeds lo esonera.

Dalla parentesi più negativa nasce però il suo più grande miracolo sportivo. Nel 1975 accetta la panchina del Nottingham Forest, squadra rivale del Derby County e ancora una volta nei bassi fondi della Serie B. Con nuovamente Taylor al suo fianco, riporta presto il club in Prima Divisione, vincendo il titolo nel 1977, ancora oggi l’unico del club, per un solo punto davanti al Leeds ( si, proprio loro)  e soprattutto due Coppe dei Campioni consecutive nel ’78 e ’79, elemento che fa dei Forest l’unica squadra al mondo ad avere più titoli continentali che nazionali. Per intenderci, è come se avesse preso una squadra della caratura del Modena o Brescia e l’avesse portata in pochi anni sul tetto d’Europa.

Coi Reds resterà per 18 anni, fino al 1993, quando lascerà dopo una retrocessione in Seconda Divisione. Negli anni tanti successi e tante pagine scritte con un inchiostro indelebile nel libro del calcio anglosassone. Lascia il Forest e lascia anche definitivamente la panchina. Dietro di se successi e vittorie incredibili, spesso accompagnate da vere e proprie frasi cult come: “Roma non fu costruita in un giorno, ma io non ero lì”. Da opinionista criticò duramente la politica degli stadi portata avanti dalla Thatcher  dopo la tragedia di Hillsbrough, quando crollò una tribuna dello stadio portando alla morte un centinaio di tifosi del Liverpool; tragedia di cui ha avuto testimonianza diretta, dato che quel giorno era in campo, perché si stava disputando Liverpool-Forest. Fino al giorno della sua morte, nel 2004, ha sempre ritenuto che il male del calcio fossero i presidenti dei club e non gli hooligans. Non ha mai accettato che i soldi permettessero a chi, ovviamente secondo la sua opinione, non capisce niente di pallone, di entrare in questo mondo.

Lo hanno amato e odiato con la stessa intensità, sia i suoi tifosi sia quelli avversari. Ha fatto vedere a tutti qualcosa mai visto in precedenza. Ha portato nel calcio inglese, da sempre legato con le catene alle sue tradizioni, un vento di novità che lo ha trasformato per sempre.

Quando nel 2002 la Federazione inglese ha istituito la Hall of fame, la prima targa fu dedicata a lui, a quell’allenatore con in cui il Dio pallonaro ha voluto esagerare riassumendo tutte le caratteristiche del gioco più bello del mondo.

 

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