George Weah, la stella più brillante della Liberia

George Weah, la stella più brillante della Liberia

L’orologio del calcio africano rispetto a quello europeo è sempre rimasto diverse ore indietro. Per anni le nazionali del continente nero hanno avuto un ruolo quanto mai marginale nella storia del calcio internazionale. I giocatori capaci di fare realmente la differenza in Europa si contano sulle dita. Ancora oggi il divario è netto e nel futuro non si cullano particolari speranze. L’orologio metaforico però ha conosciuto una netta accelerata nella prima parte degli anni 90: il Camerun di Roger Milla incanta tutti ai mondiali d’Italia mentre 4 anni dopo è la Nigeria a confermarne le buone prestazioni.

Il punto più alto viene raggiunto nel dicembre del 1995: a Parigi, la giuria di France Football per la prima volta non assegna il Pallone D’oro ad un giocatore europeo ma ad uno africano, e più precisamente ad un liberiano. Il ragazzo si presenta alla premiazione con le valigie perchè sta partendo per giocare la Coppa d’Africa. Riceve il premio, sconfigge l’emozione e commenta: “Il mio successo dona fierezza alla nazione liberiana dilaniata dalla guerra. Dedico questa vittoria a tutti i popoli africani, sono davvero orgoglioso per me e per il mio continente”. Qualche mese dopo una soddisfazione ancora maggiore, lo riceve personalmente la figura che rappresenta come nessuno l’Africa, Nelson Mandela, che guardandolo negli occhi gli dice: “George Weah, Sei l’orgoglio d’Africa!”.

La Liberia come stato nasce nel 1822 per volere dell’American Colonization Society, che decide di donare un lembo di terra della costa occidentale africana a tutti gli ex schiavi americani. Un tentativo di riparare ad anni di soprusi e vergognosa crudeltà. I neo-liberiani restano però molto legati alla cultura e alla filosofia di vita americana, segnando una netta differenza con gli altri paesi confinanti. Se dal punto di vista culturale la Liberia è lontana dal resto del continente, non lo è sicuramente dal punto di vista politico. Crisi economiche, povertà, colpi di stato e guerre civili lo accompagnano spesso nei titoli di giornale .

La capitale è Monrovia ed è qui che nel 1966 nasce George Weah. La sua infanzia è caratterizzata da forte povertà, tale da permettergli di mangiare il pollo solo una volta all’anno, a Natale. I palloni sono fatti di stracci e rimbalzano come impazziti nei polverosi campi improvvisati delle baraccopoli. Weah ama il calcio, si rende conto di avere un buon talento e spera di poter in questo modo regalare un futuro migliore alla sua famiglia. Inizia quindi a giocare nel campionato semi-professionistico locale, dove non guadagna una lira ma ha la possibilità di farsi notare. Infatti viene tesserato per un club del Camerun dove, a suon di gol, attira su di se le attenzioni del Monaco, che nel 1988, ancora 21enne, decide di portarlo in Europa.

Il Monaco dei primi anni 90 è un’ottima squadra, con giocatori di talento già affermati a livello internazionale. L’allenatore è un certo Arsene Wenger, che spera attraverso il giovane ma promettente Weah di rompere il dominio del Marsiglia, che da anni domani il campionato francese. George si presenta ai primi allenamenti vestito in tunica e pantofole, ha un aspetto calmo e per niente spaesato. Non sembra affatto un ragazzo appena ventenne che viene catapultato in un nuovo continente.

Con Wenger l’amore nasce subito; il tecnico si rende conto dello spirito libertino di Weah e non cerca di imbrigliarlo nei tatticismi europei, gli dà spazio per esprimere se stesso, e quindi tutto il suo continente. Spesso lo si vede venire a prendere palla sulla linea difensiva, muovendosi per tutto il terreno di gioco. In tutta la sua carriera, George non correrà mai per se stesso, o almeno non solo, ma tenendo sempre in mente la sua origine e quello che per lui rappresenta. Un forte senso di rivalsa lo spingerà a dare qualcosa in più, sempre. Nella prima stagione mette a segno 14 gol e il Monaco chiude al terzo posto in campionato. La stagione successiva è caratterizzata da molti problemi fisici e George vede poche volte il campo. La terza è quella della consacrazione: 18 gol in campionato (record poi mai battuto nel resto della carriera) secondo posto in campionato e una finale di Coppa delle Coppe persa da favoriti contro i tedeschi del Werder Brema. Dopo quella amara sconfitta, George sente di aver chiuso un ciclo e chiede la cessione.

I primi ad arrivare sono i dirigenti del Cagliari appena acquistato da Cellino, ma l’allenatore dei Sardi, Carletto Mazzone, non convinto dall’operazione decide di bloccare tutto. E’ troppo anarchico e indisciplinato per la Serie A italiana. Si fa vivo dunque il PSG, che riesce a completarne l’acquisto. Resta a Parigi 3 anni, vincendo un campionato e affermandosi definitivamente a livello europeo, con prestazioni da vero fuori classe in Champions League. L’esperienza parigina si chiude nel 1995, quando passa al Milan. Il saluto con la capitale francese non è proprio da libro cuore: i tifosi del Paris, convinti che Weah avesse già finalizzato il passaggio alla squadra di Berlusconi a stagione ancora in corso, in occasione dell’ultima partita di campionato espongono un striscione che recita: “Weah, on a pas besoin de toi” (“Weah, non abbiamo bisogno di te”). Le O sono sostituite da croci celtiche. Weah si rifiuta di giocare e da quel momento ricorderà Parigi e il suo stadio come un semplice posto di lavoro, nulla di più.

Arriva in Italia accompagnato da molti scetticismi: fare gol in Francia è più facile che farlo in Italia e di bidoni arrivati con l’etichetta di campioni se ne sono visti fin troppi. Eppure Weah va forte, eccome se va forte. Progressione sui 100 metri in 11 secondi, tecnica raffinata e fisico scolpito. Segna all’esordio in campionato a Padova, fornendo anche l’assist per quello che sarà l’ultimo gol ufficiale con la maglia del Milan del gran capitano Franco Baresi. Gli ultimi mesi dell’anno solare 1995 sono perfetti e ci permettono così di arrivare all’inizio della nostra storia; Weah è il primo, e finora ultimo, giocatore africano a vincere il Pallone D’oro. Il suo biglietto da visita per tutto il globo è il gol a San Siro contro il Verona: dopo aver controllato deliziosamente il pallone nella propria area di rigore dopo un corner battuto malamente dagli ospiti, parte in una falcata attraverso tutto il campo fino a buttarla dentro. Un vero e proprio cost to cost, termine che, nella sua valenza calcistica, viene coniato proprio per descrivere questa giocata. C’è tutto Weah in quel gol: tecnica, forza fisica, leggerezza e intelligenza. Un fenomeno. Al Milan vince due scudetti, non segnerà mai tantissimo ma a tutti darà sempre la sensazione di essere arrivato forse troppo presto. Weah è stato un anticipatore del calcio moderno, un attaccante completo capace di produrre un calcio che solo Ronaldo, quello brasiliano, renderà evidente a tutti. Un attaccante tutto fare prestato ad un gioco ancora troppo legato ad antichi dogmi tattici e culturali. Weah semplicemente non ha avuto la forza pratica di metterà in atto quella rivoluzione che il fenomeno di Rio de Janeiro attuerà solo pochi anni dopo, ma la teoria l’aveva già scritta tutta.

Dopo il Milan passa in Inghilterra per poi chiudere negli Emirati Arabi, dove arriva come ambasciatore del calcio europeo. Un Africano che rappresenta l’Europa. Solo Weah.

Dopo il ritiro George prova ad entrare in politica, volendo sfruttare la propria fama per il bene del suo paese. Ma come spesso accade, nessuno è profeta in patria e perde le elezioni, non rinunciando però alle sue cariche di ambasciatore.

Gli Stati Uniti hanno creato la Liberia, a cui hanno ceduto per la bandiera una sola delle loro 50 stelle. Per anni è rimasta spenta e carica di contraddizioni. Nel dicembre del 1995 però, quell’unica stella ha brillato come non aveva mai fatto in passato e come, forse, non farà mai più in futuro.

 

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