La Saga Della Torre Nera – L’Ultimo Cavaliere

La Saga Della Torre Nera – L’Ultimo Cavaliere

Primo volume della saga della Torre Nera, collana che viene definita un classico della letteratura moderna, è probabilmente uno dei romanzi più corti di Stephen King, famosissimo per le sue abilità nel creare situazioni terrificanti e ambientazioni horror.

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La storia non risponde ai canoni tipici dell’high fantasy, quindi non ci si aspetti di incontrare spiriti armoniosi e dalle orecchie a punta, draghi sputafuoco o grandi guerrieri dalla scintillante armatura e con spade incantate o fiammeggianti. Questa saga infatti non può essere semplicemente classificata sotto il genere fantastico. Basta soffermarsi a riflettere per qualche secondo su quelle che furono le opere dalle quali Stephen King trasse ispirazione per rendercene conto.

In primo luogo troviamo Child Roland to the Dark Tower came, un poema dell’inglese Robert Browning. L’influenza che quest’opera ebbe su King è evidente, a partire dalla scelta dei nomi: la Dark Tower (Torre Nera) è qui la meta del viaggio del protagonista il cui nome è proprio Roland.

Lo stesso King, nella prefazione, aggiunge che la serie ha preso ispirazione anche da altre due opere completamente diverse fra loro.

La prima è costituita da uno dei romanzi fantastici che, nel corso del tempo, ha più esercitato un influsso non solo culturale ma anche mediatico, rimanendo ancora oggi una pietra miliare della letteratura inglese: stiamo parlando de Il Signore degli Anelli di Tolkien.

Gli hobbit andavano forte quando io avevo diciannove anni. […] Il Signore degli Anelli era popolarissimo e […] credo di poter dire di essere stato un hippie, almeno a metà. Perlomeno lo ero abbastanza da aver letto i libri di Tolkien ed essermene innamorato. I romanzi della Torre Nera, come la maggior parte delle saghe fantasy scritte da quelli della mia generazione, sono figli di quei libri.”

Questo scrive l’autore per aiutarci a comprendere meglio la sua creazione, specificandoci che, sì, aveva letto Tolkien e si era lasciato trasportare dalla sua fantasia, ma che al contempo non si sarebbe messo a scrivere subito, fresco delle ambientazioni e dell’ambizione narrativa del professore inglese: voleva scrivere una storia che fosse sua.

Basta sfogliare solo un paio di pagine perché King ci tessa le lodi di quella che divenne la sua seconda fonte di ispirazione:

Poi, in una sala cinematografica quasi deserta, vidi un film diretto da Sergio Leone. Si intitolava Il buono, il brutto e il cattivo e prima ancora di essere arrivato a metà capii che quello che volevo scrivere era un romanzo che contenesse il senso della ricerca e la magia di Tolkien, ma avesse come scenario il West quasi assurdamente maestoso di Leone. […] Più che l’ambientazione, ciò che desideravo era l’elemento epico, le dimensioni apocalittiche.”

Ed effettivamente basta leggere le prime pagine del romanzo per rendersi conto che l’universo descritto si trova come ad un confine tra la realtà e l’evanescente nel quale, tuttavia, si riconoscono le ambientazioni e le connotazioni western. Lo stesso Roland sembra essere un John Wayne – o un Clint Eastwood – trasportato in un futuro apocalittico forse non troppo lontano, nel quale gli animali si sono trasformati in mostri affetti da mutazioni e i revolver fumano come le sabbie del deserto che fa da sfondo alla narrazione.

L’amosfera cupa, gotica e spesso inquietante è inoltre arricchita dal mistero. Il protagonista insegue, nel corso di tutto questo primo romanzo, un uomo misterioso che viene chiamato semplicemente l’uomo in nero, la cui aura malvagia si avverte in un crescendo fino all’ultima pagina. Nonostante il vero protagonista sia Roland, non si può non notare l’importanza che questo misterioso man in black: non è un caso che proprio il suo “nome” costituisca le prime tre parole dell’incipit.

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L’uomo in nero fuggì nel deserto e il Pistolero lo seguì.”

Ma non solo.
Tutto il romanzo è costituito da numerosi flashback, che ci raccontano l’infanzia di Roland e i momenti più importanti della sua crescita – il tutto sempre arricchito da una buona dose di descrizioni macabre ed enigmatiche – che rendono il susseguirsi delle azioni lento e spesso confuso fino al momento culminante, quando Roland raggiunge finalmente l’uomo in nero e si fa da lui predire il futuro. L’autore assegna all’uomo in nero un ruolo che potrebbe sembrare secondario, ma in realtà, l’impressione del lettore è che sia proprio lui, più che lo stesso protagonista, a dare il via all’incredibile viaggio che verrà descritto nei capitoli successivi.

Il romanzo intero dunque, se analizzato sotto quest’ottica, è come un’introduzione al resto della lunga collana, più lineare e meno altalenante fra narrazione attuale e onirica.

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