Il libro della giungla: racconti di un mondo digitale

Il libro della giungla: racconti di un mondo digitale

Il libro della giungla è una raccolta di racconti che vennero pubblicati su giornali e riviste fra il 1893 e il 1894 e fece vincere al suo autore, Rudyard Kipling, il Premio Nobel per la Letteratura. Furono fatte diverse trasposizioni cinematografiche di questa opera. La più famosa è sicuramente quella animata del 1967 targata Walt Disney. Nonostante ogni anno escano almeno due nuovi film d’animazione, periodicamente mi piace riguardare quelli vecchi. Mi piace notare come ricordo ancora alcune battute e alcune canzoni. Di questo in particolare ricordavo le canzoni. Ma giusto quelle. E così l’ho riguardato stamattina e penso siano trascorsi almeno 20 anni dall’ultima volta che io e mia sorella lo guardammo sedute sul divano in salotto. Non ci è mai piaciuto particolarmente. E dopo averlo rivisto confermo il mio punto di vista: storia un pochino scontata e prevedibile, a tratti carente di qualche passaggio (ma giustamente non si poteva pretendere di più, visto che già così dura un’ora e un quarto); e poi diciamocelo: Mowgli è davvero antipatico! Il classico bambino che non vuole dare retta a nessuno perché crede di sapere tutto. Sarei curiosa di leggere il libro a questo punto, perché un po’ mi domando come abbia potuto vincere un Nobel. Per fortuna l’ho riguardato solo stamattina, e non prima di andare a vedere il nuovo film, uscito il 14 aprile nelle sale. Se l’avessi fatto mi sarei rovinata la serata, perché probabilmente non sarei più andata al cinema. E invece…

Bello. Mi ha colpito. Non la storia, quella è pressoché identica a quella del cartone ma giustamente più ricca ed elaborata: è sempre raccontata da Bagheera (a cui presta la voce Toni Servillo nella versione italiana e Ben Kingsley in quella originale), la pantera nera che trova il cucciolo d’uomo nella giungla e decide di affidarlo alle cure di Raksha (doppiata da Violante Placido e Lupita Nyong’o) e del branco di lupi, capitanati da Akeela. Il piccolo Mowgli cresce così provando ad essere come loro per sopravvivere. Ma il ritorno del perfido Shere Khan (Alessandro Rossi – doppiatore italiano di Liam Neeson e Samuel L. Jackson – e Idris Elba), la tigre del Bengala, porta scompiglio e paura: la sua minaccia di uccidere il bambino fa sì che il branco e Bagheera decidano di riportarlo a un villaggio di umani, così che possa essere al sicuro. In questo viaggio Mowgli incontrerà diversi animali: dal divertente e scanzonato orso Baloo (Neri Marcorè vs Bill Murray), all’inquietante e sibilante serpente Kaa (Giovanna Mezzogiorno e Scarlett Johansson) e il prepotente e imponente orangotango King Louie (Giancarlo Magalli e Christopher Walken).

Quasi passaggio obbligato il fatto che, per sconfiggere il cattivo, Mowgli dovrà smettere di pensare come un lupo e agire invece come uomo. Quindi niente di nuovo sul fronte della trama che probabilmente non incuriosisce. Ma il film merita di essere visto.

Ad Hollywood si stanno davvero specializzando con gli effetti speciali: adesso quando un uomo-vero entra in contatto con un animale-finto sembra davvero che lo stia toccando.

Mentre Mowgli accarezza Raksha, le mani quasi scompaiono nel suo folto pelo ed è qualcosa di incredibile se poi si pensa che questo ragazzino (Neel Sethi), alla sua prima apparizione, ha praticamente recitato da solo per tutto il tempo delle riprese.

Riprese che si sono svolte interamente in teatri di posa. Infatti non vi è nessuna ripresa reale della foresta indiana: TUTTO, dalla giungla agli animali, è stato creato con le più sviluppate tecnologie di computer grafica (un rendering fotorealistico dove le fotografie o le immagini vengono rielaborate in digitale) e motion capture (utilizzate soprattutto per gli animali: dai movimenti presi da diversi documentari, al labiale dei veri attori che gli hanno prestato le voci).

L’idea del regista Jon Favreau di non utilizzare immagini reali ha fatto sì che si pensasse a una giungla quasi immaginaria: un mondo dove gli animali possono parlare e cantare, proprio come nel cartone animato del 1967, ma non per questo fingere che vadano idilliacamente d’accordo, perché la legge della giungla non perdona.

A mio avviso, un lavoro perfettamente riuscito.

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