L’amore inevitabile di “Cita a ciegas”

L’amore inevitabile di “Cita a ciegas”

In una scena del film “Profumo – Storia di un assassino” (2006), il profumiere italiano Giuseppe Baldini, magistralmente interpretato da Dustin Hoffman, spiega al suo giovane apprendista come riconoscere la composizione di un profumo: come un accordo musicale, ogni profumo è composto da tre note, una nota di testa che è la prima ad essere percepita, una nota di cuore che appare subito dopo, e una nota di fondo che perpetua il profumo nel tempo.

Scopriamo, allora, le note che compongono il curioso profumo che è “Cita a ciegas” (“appuntamento al buio”), atto unico tratto dal testo omonimo di Mario Damient, con la regia di Andrée Ruth Shammah.

Una panchina in una piazza qualunque di Buenos Aires, l’autunno alle porte, gli alberi fioriti e l’incontro fra un uomo cieco e un passante: un incontro apparentemente banale se non fosse che l’uomo cieco è un famoso autore argentino, ispirato a Jorge Luis Borges, e il passante è un ricco banchiere in piena crisi di mezz’età.

Da questo surreale incontro, il pubblico quasi senza accorgersene sprofonderà nelle esistenze complicate dei personaggi e farà suoi i percorsi di queste esistenze emozionandosi e vivendo sulla propria pelle e sensibilità, gli abissi, grotteschi e torbidi, di queste vite routinarie e fragili, scosse come vascelli nella tempesta della vita. Tempesta che farà affiorare la ragion d’essere di ogni personaggio. Ed è proprio questa la nota di testa: la consapevolezza del vero sé, tema ben sviluppato con accenti pirandelliani talvolta capaci anche di leggerezza, senza mai scadere nella superficialità.

Tutti i personaggi faranno i conti con questo tema: ognuno di loro avrà, infatti, la “scusa” narrativa per sedersi sul baratro del proprio abisso e scegliere se continuare a guardarlo o sprofondarvi dentro, trascinando con se anche gli altri personaggi, in una catena di verità taciute, per altro il filo conduttore della narrazione.

Ma continuiamo ad annusare. Siamo a Buenos Aires, dicevamo, ci sono i fiori, c’è Borges e c’è anche qualche passo di tango. Non potrebbe mancare, quindi, la passione, la “pasion” meglio, la vera nota centrale, la nota di cuore di “Cita a ciegas”.

Che questo sia un testo passionale, viscerale, scomodo è innegabile. Ma attenzione: non parliamo di una passione da esperire con gli occhi, ma piuttosto da annusare, da respirare, come un profumo, appunto. Una passione che fa capolino improvvisamente nella vita e nei racconti dei personaggi, entrando senza bussare, sfondando porte sigillate dalla routine di vite che oscillano fra la monotonia e la frustrazione; una passione che spariglia le carte ordinate e precise delle loro vite, rimescolandole e collegandole fra loro; una passione ossessiva, talvolta morbosa, che pretende di essere seguita; passione come ineluttabilità, che conduce e trascina verso il proprio destino, passione come “ananke” direbbero i Greci: fatalità.

Ma poichè “neanchè gli dei combattono contro ananke”, i nostri personaggi riconosceranno la propria impotenza di fronte ad essa e si arrenderanno al proprio destino, vinti dall’inevitabilità dell’amore.

Ed eccoci alla nota di fondo. Il vero protagonista delle vicende che avvengono in questo girotondo – come in quello di A. Schnitzler non vedremo mai più di due personaggi in scena contemporaneamente – è proprio quello che i personaggi stessi chiamano “l’amore inevitabile”: sotto tutte le parole, le storie, le fatiche, le rivoluzioni che i personaggi vivono sul palcoscenico, alberga sopita la voglia di amare follemente, pienamente, la voglia di un amore “che strappa i capelli”, di un amore che prescinda dalla realtà e che, anzi, li aiuti a fuggire da essa, dalla “gabbia che si sono costruiti”, per citarne uno.

Cosa chiederà in cambio questo amore inevitabile? Quale sarà il prezzo che i personaggi dovranno pagare per potervi cedere?

Lo spettacolo che Andrée Ruth Shammah ci presenta è chiaramente uno spettacolo di parola, composto e misurato nei movimenti ma travolgente nella sostanza; nel complesso è tutto ben al di sopra delle aspettative: regia, luci, costumi e scenografie sono come strumenti musicali accordati perfettamente, strumenti adeguati e che permettono ad un coinvolgente Gioele Dix e agli altri attori (Laura Marinoni, Elia Schilton, Sara Bertelà e Roberta Lanave), tutti impeccabili, di comporre una melodia che tiene incollato per due ore lo spettatore alla sedia, divertendo, scomodando, interrogando.

“Cita a ciegas” è un profumo da scoprire, da annusare, da respirare a pieni polmoni, un profumo che una volta spruzzato rimane attaccato addosso e capita di riconoscerlo nei momenti più inaspettati.

Il mio consiglio, quindi, è quello di abbandonarvi a questo amore inevitabile che potrete vivere al Teatro Franco Parenti di Milano fino al 29 marzo 2018.

Maggiori informazioni all’indirizzo https://www.teatrofrancoparenti.it/spettacolo/cita-a-ciegas/

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