Il Signor K. a Castro Pretorio, Berlino Est

Il Signor K. a Castro Pretorio, Berlino Est

Questo doveva essere un articolo su Andrea Pazienza. Più di preciso, sulla mostra allestita a Roma e dedicata all’artista foggiano col proposito di restituirci frammenti della sua opera a trent’anni dalla prematura scomparsa. E invece, cos’è successo di tanto importante da farti desistere dal trattare l’argomento? Un momento, ci arrivo.

Ecco, la verità è la seguente: prima di attraversare il dedalo assolato di corridoi che taglia in ogni direzione il complesso dell’ex Mattatoio di Testaccio per entrare in uno dei padiglioni in un sabato pomeriggio d’inizio giugno, di Andrea Pazienza avevo l’impressione di saperne poco. E, una volta uscito dall’esposizione, credevo di non saperne ancora abbastanza. Diciamo, non tanto da scriverci un articolo e decisamente non a sufficienza da permettermi di non documentarmi a riguardo. Rigore, ci vuole rigore.

E allora eccomi qualche mattina dopo salire in sella al motorino e dirigermi verso la fermata della metro B di Castro Pretorio – il nome della quale non dirà niente ai non romani o a chi pratica lo stradario della Capitale in maniera saltuaria, ma per chi tra quelle vie ci vive può voler indicare soltanto una presenza: quella della Biblioteca Nazionale.

Se mi chiedessero un modo per descriverla in breve userei questo: il più compiuto prodotto della DDR mai esportato nel nostro Paese, in termini estetici non meno che etici. Ci ho speso dentro una quantità indefinita di tempo e alcuni volumi in essa contenuti sono stati di grande aiuto nella stesura delle due tesi di laurea che hanno spinto la modesta barchetta delle mie conoscenze fuori dai lidi dell’università italiana. Chi l’avrebbe mai detto che il guaio sarebbe stato proprio questo?

Precisazione necessaria: l’abilitazione al prestito della mia tessera è scaduta. Me n’ero già accorto in realtà: ho l’abitudine di prenotare on-line dal computer di casa – un banale trucco che consente di guadagnare tempo e di trovare al banco della sala stabilita un numero massimo di tre volumi sin dalle 9.30 del mattino – e la sera prima non avevo fatto eccezione. Ora mi direte: che c’entra? C’entra, invece, la tempistica è fondamentale: se ci si dimentica di questo piccolo accorgimento, facendolo slittare alla mattina successiva ed eseguendo l’operazione dai computer della Biblioteca, i tempi della consegna si allungano a dismisura (fino ad un’ora e mezzo, nel più disperato dei casi). Se avete molto da passare in rassegna o da portar via, potete dire addio alla mattinata, è bella che fottuta. Senza contare che le richieste per il prestito non vengono accettate oltre le 13.

Ma non dilunghiamoci. Quel giorno, eventualità rara, ero in orario. Il problema semmai era un altro: il mio non essere più uno studente universitario, appunto. Invitato all’interno degli uffici del prestito, nel retro del bancone, per risolvere la questione un’impiegata mi chiese qualcosa che attestasse la mia presenza a Roma.

Residenza? No. Qualche contratto? Niente. Utenze? Non mi risultano come intestate a me. E allora non possiamo rinnovarle il prestito. Come? Perché? Quei libri mi servono! Non se ne parla. Vabbe’ allora dichiaro il falso, scriva che sono ancora studente, proroghi, me ne assumo la responsabilità. E io chiamo l’università! Tra tanti utenti proprio me? Guardi che questa è delazione! No, questo è un controllo. Ma scusi, qual è la ratio di queste regole? Senta non siamo tenuti a giustificare gnente e adesso ce lasci lavora’ ché noi nun stamo qua a pettina’ ‘e bambole! (Maledetta burina dai capelli color platino di sicuro iscritta al sindacato, facile fare gli arroganti ottusi dall’alto del proprio posto fisso! Ah, ma me la paghi! Come, ancora non lo so).

Lo sa Nicolò, invece, il mio coinquilino che si ricorda, a differenza mia, del contratto con Fastweb per la linea internet di casa sottoscritto a mio nome, perno su cui fare affidamento per aprire la mostruosa struttura burocratica della Biblioteca come una scatoletta di tonno. Trovare quindi le scartoffie e farne una copia, stampare l’estratto conto per testimoniare gli avvenuti pagamenti e allegarci una fotocopia della carta d’identità come ad indicare che, ehi!, quel nome là sopra corrisponde proprio a quello sui miei documenti, non c’è possibilità di sbagliarsi – detto, fatto. Andare a dormire quella sera coscienti della necessità di riposare bene, arrivando freschi al round successivo nel match contro la burina.

Burina che non trovo al suo posto la mattina dopo, con grande disappunto. Guardi le colleghe arrivano alle 11.15, tra mezz’ora. Va bene, grazie, aspetto. Ore 11.28: no, le colleghe non sono ancora qui, attenda ancora. Sigaretta fuori: il tempo di fumarla, buttarla via e rientrare e sono già le 11.40. Al ritorno trovo la burina sorridente e svagata, irriconoscibile rispetto al giorno prima, la quale, vedendomi arrivare incattivito, chiede: è me che cerca? Sì, stronza, entra e in fretta, ché ho già perso troppo tempo – le vorrei rispondere. Si mette al computer, obietta debolmente che però non sa quando scadrà il contratto e insomma non dovrebbe, ma alla fine si decide a prorogare l’autorizzazione per un altro anno e mi lascia uscire, diretto svelto verso la sala Umanistica e i libri, in giacenza da troppo.

Libri meravigliosi, lettore: lo spassoso Pertini e il fulminato Le straordinarie avventure di Pentothal, frutto del pennarello di Pazienza, oppure il memoir Prima pagare poi ricordare, a firma di Filippo Scòzzari, sulla parabola umana e artistica del gruppo di grafici e disegnatori dietro le riviste Cannibale e Frigidaire. Libri di cui non potrò parlarti in maniera approfondita perché, malgrado io sia di nuovo idoneo al prestito, sono loro stavolta a non essere prestabili non solo a me, ma a chiunque.

Vede? Questa è copia unica, quindi non può uscire di qui. Di quest’altro posso darle solo l’edizione del 1989 perché è presente in doppia copia… dunque, mi lasci controllare… ah no, non posso darle neanche quella, non l’hanno restituita.

Non mi resta che fissare con mestizia la copisteria della Biblioteca, chiusa come il bar all’ingresso. I libri che non posso prendere in prestito non posso nemmeno fotocopiarli. L’unica soluzione rimasta sarebbe fotografare il materiale con il cellulare e darci un’occhiata una volta tornato a casa – qualcosa di lontanissimo dalla pratica e dal piacere della lettura. Comprendi, lettore, la desolazione di un bibliofilo in un posto così mal messo?

Da chiunque cui abbia chiesto spiegazioni mi son sentito rispondere allo stesso modo: esigenza della Biblioteca non è quella di far consultare, ma di conservare. Compito assolto, va detto, con efficienza e scrupolo, se è vero, com’è vero, che esco dalle porte scorrevoli due ore dopo con nessun libro sotto braccio, appena un pugno di mosche in mano e la sensazione – questa sì, pressante – di aver perso solo un mucchio di tempo.

Vedi, lettore? Se sei sveglio lo capisci da te, ma per stare sicuri provo a spiegartelo: anche se ne farei volentieri a meno, a me cambia poco andare in libreria e comprare i libri che mi servono, mi costa solo un prelievo dal bancomat e qualche euro in meno. Ma chi non può permetterselo? Per inciso: tutte persone a cui a maggior ragione non dovrebbe essere negato l’accesso a od ostacolato il godimento di quel tipo di beni, meno che mai da un istituto, come un deposito pubblico, nato per renderli più facilmente fruibili da tutti. Invece no. Io non potrò scrivere (per ora, più avanti si vedrà) di Pazienza, Tamburini, Liberatore, Scozzari, Sparagna, di Bologna, del 1977, dell’eroina, del morire giovani e indimenticabili nel pattume ormai vecchio e dimenticabile degli anni Ottanta. E questo perché, oltre a dilapidare il tempo altrui senza alcun rispetto, spesso l’obiettivo delle istituzioni culturali ufficiali e dell’amministrazione pubblica, in special modo in Italia, è – tienilo a mente – quello di conservare, non di far partecipare. Ragion per cui, specie quando a parlarne sono certi, è sempre bene metter mano alla fondina se si parla di cultura, in nome della quale il più delle volte si compiono gesti turpi. Come ad esempio scrivere un articolo come questo.

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