Tolo Tolo, il film più politico di Zalone

Tolo Tolo, il film più politico di Zalone

Lo aveva annunciato “preparatevi a ristrutturare le vostre polverose sale”, e così è stato. Nel primo giorno di programmazione Checco Zalone ha stracciato ogni record, 8 milioni di fatturato, incassando più di quanto fatto sin qui dall’ultimo orrido capitolo della saga disneyana di star wars. Ora veleggia verso i 30 e ci si chiede fin dove potrà arrivare – Quo Vado, il suo precedente film, è a quota 65, il secondo per incassi dopo Avatar.

Alla sua prima prova da regista dopo il divorzio con Nunziante, Tolo Tolo è il film più politicamente impegnato del comico pugliese. Non poteva che essere altrimenti dal momento che la sceneggiatura è firmata da uno dei più talentuosi registi e sceneggiatori italiani, alias Paolo Virzì. Tolo Tolo è una commedia, che, se non sconfina nel drammatico, tuttavia fa molto riflettere.

Al centro un tema spinoso come quello dell’immigrazione dall’Africa verso l’Italia e l’Europa; e perciò destinato inevitabilmente a scontentare una parte del suo pubblico, aduso a una comicità più becera e scanzonata (come dai suoi precedenti lavori). Un film più di sinistra che di destra, tutt’altro che cerchiobottista. Non piacerà dunque ai leghisti, ai fascisti et similia. Salvini, che da formidabile interprete del senso comune qual è, ha speso parole di fiele nei confronti di Zalone, evidentemente non lo ha visto, altrimenti si ricrederebbe. Ma anche le vestali del politicamente corretto troveranno pane per i loro denti (a un certo punto Zalone motteggia sulle “risorse” di Boldriniana memoria “che ci pagano le pensioni”).

Senza voler svelare alcunché della trama, la scena più toccante è quella finale dell’agnizione; le musiche, molto ben calate nel contesto (con anche la riproposizione di successi del passato come Vagabondo o W l’italia di De Gregori), assurgono a un ruolo di primo piano: tant’è che c’è chi l’ha definita una “commedia musicale” ; qua e là è presente qualche riferimento dotto (Brecht, Primo Levi). Il salto di qualità autoriale rispetto al passato è davvero notevole. Non ha tutti i torti chi sostiene che Zalone sembra qui voler emulare l’Alberto Sordi di ‘Finché c’è guerra c’è speranza’.

Tolo Tolo mette alla berlina l’italiano medio e l’immagine un po’ troppo corriva che coltiviamo di noi come popolo (“Gli italiani brava gente”): il personaggio interpretato da Zalone è infatti il classico italiano qualunquista, gretto, callido. Con una prossemica e una retorica vetero fascista. Uno dei personaggi del film, un politico sgrammaticato, senza arte né parte, dapprima ministro degli esteri, poi presidente del consiglio infine della Commissione Europea, pare ricalcare fedelmente la commistione di tre politici attuali quali Conte, Di Maio e Salvini.

Si può storcere il naso di fronte al fenomeno rappresentato da Zalone. In fondo, si dirà, ci sono film meritevoli di maggior attenzione, snobbati dai più (per fare qualche esempio: l’ultimo di Ken Loach o la Dea Fortuna). Potrà piacere o meno, ma è l’unico in grado di far accorrere nelle sale persone che al cinema ci vanno poco o molto saltuariamente, e magari farle appassionare a questa forma di arte. Senza dimenticare poi gli effetti benefici per tutta l’industria cinematografica, in particolare gli esercenti, che riescono a sopravvivere proprio grazie a questo genere di film…

 

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