Guida agli Oscar 2020, parte II

Guida agli Oscar 2020, parte II

Proseguiamo con la seconda parte della guida alla 92ª edizione degli Oscar (qui trovate la prima), entrando nel vivo della cerimonia: a questo giro tocca ad attori e attrici, sceneggiatori e registi, oltre alle categorie di miglior film internazionale e miglior film.

 

Miglior film internazionale 

Sembrava dovesse essere l’anno della Spagna con l’intimo Dolor y gloria, la «dichiarazione d’amore per il cinema» di Pedro Almodóvar. La storia del declino del regista Salvador Mallo, però, è stata scalzata nei pronostici da Parasite. La black comedy sudcoreana mescola in maniera sapiente picchi di tensione da popcorn thriller con una profonda e radicale critica sociale nella vicenda di una vera e propria famiglia di “parassiti”, i Kim, che fingendo di non conoscersi vengono assunti dalla ricca famiglia Park. Poche possibilità per gli altri tre candidati: il risveglio spirituale di un detenuto raccontato nel polacco Corpus Christi, il film-documentario macedone Honeyland, sull’apicoltura, e il francese Les Misérables, vincitore del Premio della Giuria a Cannes. Nemmeno shortlist per il nostro Il traditore, regia di Marco Bellocchio.

 

Il favorito: Parasite

Chi tifiamo: Honeyland

 

Migliore sceneggiatura non originale

Altrettanto serrata è la competizione della categoria delle sceneggiature tratte da opere preesistenti. Dopo la prima nomination in carriera per Ladybird e l’inspiegabile esclusione dalla cinquina dei registi, Greta Gerwig ci riprova con la settima trasposizione cinematografico di Piccole Donne. Gerwig potrebbe ripetere il successo dell’adattamento del 1933, che vinse proprio questa statuetta. Poco distante sulla griglia di partenza troviamo Jojo Rabbit, tratto dal romanzo Come semi d’autunno di Christine Leunens, in cui il piccolo Jojo, ragazzino della Gioventù hitleriana, ha come amico immaginario proprio il Führer. Appena dietro uno dei più apprezzati screenwriter del momento: il neozelandese Anthony McCarten (La teoria del tutto, L’ora più buia, Bohemian Rhapsody) è candidato per la sceneggiatura de I due papi, tratta proprio da una sua pièce teatrale. Tra le cinque nomination c’è anche The Irishman: il film di Netflix è stato adattato dal romanzo I Heard You Paint Houses di Charles Brandt. Non può mancare la candidatura di Joker, firmata dal regista Tom Phillips e da Scott Silver: sarà premiata la loro svolta nel modo di concepire i cinecomics?

 

Il favorito: Piccole Donne

Chi tifiamo: Jojo Rabbit

 

Miglior sceneggiatura originale

Un attore in crisi davanti all’evoluzione di una New Hollywood ricostruita filologicamente e la sua controfigura-tuttofare che vivono in una Los Angeles in cui bisogna essere sempre all’altezza, l’intreccio e la successiva riscrittura della Storia con la S maiuscola nella vicenda di Sharon Tate, la riflessione su che cosa significhi fare cinema: molto probabilmente, questi sono stati i motivi per cui la Hollywood Foreign Press Association ha deciso di assegnare a Tarantino il Golden Globe alla miglior sceneggiatura. Con gli stessi argomenti, C’era una volta a… Hollywood punterà a convincere anche l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences. La vittoria non è assolutamente, però: la concorrenza risponde con Parasite, tra toni grotteschi e diseguaglianze sociali; l’interessante ricerca psicologica fra le dinamiche della famiglia sgretolata di Storia di un matrimonio; Cena con delitto – Knives Out, un giallo a enigma che revitalizza sapientemente un genere oggi desueto; le storie della Grande Guerra ispirate ai racconti del nonno di Sam Mendes, che prendono corpo in 1917.

 

Il favorito: C’era una volta a… Hollywood

Chi tifiamo: C’era una volta a… Hollywood

 

Miglior montaggio

Difficilissimo prevedere chi si aggiudicherà la statuetta per il miglior montaggio: si sfidano, quest’anno, cinque storie raccontate in maniere non convenzionali, i cui film editor hanno proposto diverse soluzioni per esaltare la narrazione nella maniera più funzionale. A cominciare dal lavoro di Yang Jin-mo, montatore di Parasite: il film sudcoreano ha un ritmo incredibile, impreziosito da scelte sempre fortunate negli snodi fondamentali (su tutte, l’attuazione del piano della famiglia Kim nel primo atto). Potrebbe fare incetta di premi tecnici Le Mans ’66 – La grande sfida. Andrew Buckland e Michael McCusker assemblano impeccabilmente il girato, restituendo allo spettatore la percezione temporale dei piloti nella sfida tra Ford e Ferrari. Ottimo lavoro del team di Joker: il montatore Jeff Groth gioca sapientemente sul confine tra ciò che succede davvero e ciò che è nella mente di Arthur Fleck, facendoci dubitare dell’attendibilità del narratore fino alla fine. Mescola bene momenti di tensione drammatica e tempi comici azzeccati Tom Eagles nella satira antinazista Jojo Rabbit: il film non è tra i favoriti alla vittoria ma la sua costruzione non è passata inosservata. Menzione speciale merita, infine, Thelma Schoonmaker: la sua collaborazione con Scorsese le ha già fruttato tre Oscar (Toro Scatenato, The Aviator, The Departed), e ora punta al quarto con The Irishman.

 

Il favorito: Parasite

Chi tifiamo: Jojo Rabbit

 

Migliore attrice non protagonista

Inutile anche solo girarci attorno: se vinci il Golden Globe, il Critics’ Choice e lo Screen Actors Guild Award, la probabilità di portarsi a casa l’Oscar è molto alta. Stiamo parlando di Laura Dern, apprezzatissima candidata per Storia di un matrimonio. Tra le comprimarie di Piccole Donne, a spuntarla è stata Florence Pugh: Trophée Chopard alla Rivelazione femminile a Cannes (è nata nel 1996), ha davanti a sé un futuro più che luminoso. In questa categoria abbiamo l’unica candidatura di Richard Jewell di Clint Eastwood: Kathy Bates interpreta la madre di Richard, l’uomo che sventò l’attentato alle Olimpiadi di Atlanta ’96. Giostra bene il clima da commedia noir Scarlett Johansson, ribelle madre single di Jojo Rabbit che nasconde una ragazza ebrea in casa. Ultima ma non per importanza Margot Robbie, la presentatrice Kayla Pospisil in Bombshell.

 

La favorita: Laura Dern

Chi tifiamo: Scarlett Johansson

 

Miglior attore non protagonista

Concorrenza agguerritissima per la statuetta di miglior comprimario: tra i nominati, Al Pacino e Joe Pesci, con tutta probabilità, si spartiranno i voti di coloro che hanno amato The Irishman. A contendersi la vittoria finale anche Anthony Hopkins (Papa Benedetto XVI ne I due papi) e Tom Hanks, che interpreta Fred Rogers, creatore dello show per bambini Mister Rogers’ Neighborhood in Un amico straordinario. Grande favorito è, però, Brad Pitt: la sua interpretazione di Cliff Booth controfigura di Rick Dalton in C’era una volta a… Hollywood gli è valsa il Golden Globe al miglior attore non protagonista. Una vittoria – la prima davanti alla macchina da presa – lo consoliderebbe tra i migliori attori della sua epoca.

 

Il favorito: Brad Pitt

Chi tifiamo: Brad Pitt

 

Miglior attrice protagonista

Gli altri premi della Oscar season hanno parlato chiaro: l’attrice da battere è Renée Zellweger (Judy). Zellweger, che molti conoscono per il ruolo di Bridget Jones, si è presa il British Independent Film Award, il Golden Globe come attrice in un film drammatico, lo Screen Actors Guild e il Critics’ Choice. Apparentemente defilate Scarlett Johansson (Storia di un matrimonio), premiata ai Satellite, Saoirse Ronan, Jo nel settimo adattamento cinematografico di Piccole donne e Charlize Theron, protagonista di Bombshell Cynthia Erivo, l’attivista Harriet Tubman in Harriet.

 

La favorita: Renée Zellweger

Chi tifiamo: Scarlett Johansson

 

Miglior attore protagonista

Di Joker si è detto tanto. Un film che ha diviso pubblico e critica e che si temeva avrebbe avuto ripercussioni sociali, istigando episodi di violenza. Quello su cui, però, sembrano essere tutti d’accordo, è la performance monstre di Joaquin Phoenix. Phoenix si è portato finora a casa Golden Globe, Screen Actors Guild Award e Critics’ Choice e sembra proprio, salvo sorprese clamorose, che la quarta candidatura agli Academy Awards sarà quella della prima vittoria per l’attore portoricano. A contendergli la statuetta ci sono Leonardo DiCaprio (Rick Dalton in C’era una volta a… Hollywood), al ritorno sul grande schermo dopo il sudatissimo Oscar per The Revenant, Antonio Banderas, per la sua interpretazione del regista Salvador Mallo in Dolor y gloria, Jonathan Pryce, Papa Francesco ne I due papi e Adam Driver, che con Storia di un Matrimonio ha dimostrato di essere uno dei migliori attori del momento.

Tra gli illustri assenti, Taron Egerton, Golden Globe e Satellite al miglior attore in un film musicale o commedia come Elton John in Rocketman e Adam Sandler per Diamanti grezzi.

 

Il favorito: Joaquin Phoenix

Chi tifiamo: Joaquin Phoenix

 

 

Migliore regia

Ultima cinquina – perché le nomination a miglior film sono addirittura nove – è quella dei registi. Il suo Parasite ha stupito talmente tanto che non poteva mancare il nome di Bong Joon-ho tra i candidati. L’Academy ha dimostrato di non aver paura dello straniero – fatta eccezione per Damien Chazelle, dal 2011 hanno vinto registi non statunitensi – e lui ha tutte le carte in regola per seguire questo trend.

Che lo si ami o lo si odi, è innegabile che lo stile di Quentin Tarantino sia unico, originale e sempre in grado di rinnovarsi. «Tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri», diceva Gustav Mahler. La regia tarantiniana rispecchia appieno questa massima e C’era una volta a… Hollywood ne è la prova.

Della New Hollywood raccontata da Tarantino faceva parte anche un certo Martin Scorsese: cinquant’anni e trentacinque film dopo, eccolo ancora a contendersi la palma di miglior regista. Il suo The Irishman è un bellissimo testamento artistico, raduna e rinfresca gli stilemi della sua poetica gangster, mischiandoli con la nuovissima tecnica del de-aging e potrebbe valergli la seconda statuetta in carriera.

Il suo nome mancava da vent’anni tra i candidati agli Academy Awards e in mezzo ne ha fatte di ogni, dai primi due film di James Bond per incassi alla regia teatrale di Lehman Trilogy di Stefano Massini al National Theatre di Londra, ma finalmente è tornato: dopo l’Oscar per American Beauty alla prima e unica nomination, Sam Mendes prova a bissare il successo – pure da testa di serie – con 1917.

Se ci avessero detto anche solo l’anno scorso che il regista della trilogia di Una notte da leoni sarebbe stato candidato agli Oscar, avremmo sicuramente storto il naso. E se ci avessero detto che la sua Gotham avrebbe addirittura rivaleggiato con quella di Nolan, probabilmente non ci avremmo neanche creduto. Ma c’è poco da ridere: Todd Phillips ha riassemblato un universo DC cattivo e sporco, un mondo da fumetto che strizza l’occhio agli universi del maestro – e in questa sede rivale – Scorsese. Tra questi giganti, Phillips parte sicuramente dietro. Ma c’è sempre più gusto a puntare sugli underdog.

 

Il favorito: Bong Joon-ho.

Chi tifiamo: Quentin Tarantino

 

Miglior film

Ed eccoci al gran finale. Ogni anno – senza addentrarci in psicanalisi da bar – il pool dei film tra i quali sarà eletto il migliore mostra un fil rouge che li unisce. Questo è più che mai l’anno in cui è stata premiato chi ha osato, chi ha optato per la scelta più coraggiosa che alla fine della fiera, però, si è rivelata quella giusta.

È il caso di Le Mans ’66 – La grande sfida, regia di James Mangold, secondo molti il miglior film di automobilismo della storia. A un’accuratezza tecnico-storica ai limiti del maniacale – pare che i sound editor abbiano girato gli Stati Uniti alla ricerca del modello di auto preciso per registrarne i rumori – fa da contraltare l’incredibile sfida sportiva tra la Ford, colosso in decadenza, e l’invincibile armata Ferrari. Il tema di “nicchia” lo fa partire sicuramente un passo indietro rispetto agli altri, ma agli Oscar non si è sconfitti finché il premio non viene assegnato.

Se dopo sei versioni cinematografiche la tua ottiene il record di candidature (sei, contro le tre degli adattamenti del 1933 e del 1994), significa che hai sicuramente qualcosa da raccontare. Piccole Donne, regia di Greta Gerwig, vanta un cast di enfants terribles, per nulla intimoriti dai paragoni con la notevole storia cinematografica dell’opera. La sua vittoria sarebbe una meritata sorpresa.

Gli ambienti claustrofobici e sovraffollati dei Kim contro gli ampi spazi luminosi della casa da archistar della famiglia Park, la martellante dicotomia tra sopra e sotto, alla luce della quale sembra disegnata ogni scena, la commistione mai sbilanciata tra il film da grande pubblico e il cinema d’essai fanno di Parasite già un cult. Palma d’oro a Cannes, il film sudcoreano potrebbe “patire” lo stesso destino di Roma, regia di Alfonso Cuarón, vincitore indiscusso come miglior film straniero ma “snobbato” nella categoria principe.

Credo che il più azzeccato commento su 1917 lo abbia dato lo YouTuber Matioski quando lo ha definito «il miglior film tratto da un videogioco che non esiste». Il film di Sam Mendes ha il ritmo forsennato e la capacità di immergere lo spettatore nella vicenda di Call of Duty senza però romanzare in alcun modo: la guerra è orrenda, e alla fine non vince nessuno. I Golden Globe lo hanno eletto miglior film drammatico, il pubblico lo ha apprezzato moltissimo. Il primo favorito è sicuramente lui.

Statisticamente, il genere comedy è decisamente un punto a sfavore, nella corsa al miglior film: le commedie “pure” come Io e Annie di Woody Allen non arrivano a dieci vittorie, meno di quindici contando anche le commedie drammatiche come BirdmanAmerican Beauty e il vincitore dello scorso anno Green BookJojo Rabbit ha tutte le carte in regola per competere con i grandi outsider: colonna sonora azzeccatissima ed evocativa, un cast ponderato, da Scarlett Johansson, madre dissidente a Sam Rockwell, un personaggio che lo spettatore non vuole odiare e che, alla fine, dà anche motivo di non farlo, a Taika Waititi che si cuce addosso perfettamente il ruolo dell’Hitler-amico immaginario del piccolo Jojo, uno storytelling visivo ben orchestrato e perfetto per la storia che si vuole raccontare. Jojo Rabbit non è, purtroppo, tra le teste di serie, ma è un film da vedere. E di corsa.

Non è, naturalmente, passata inosservata l’ultima fatica di Martin Scorsese, The Irishman. Il regista di origini italiane, grazie al “ringiovanimento digitale” dei suoi tre mostri sacri, restituisce una nuova dimensione alla loro già incredibile carriera. L’epopea di Frank Sheeran potrebbe concludersi con il premio più ambito, e Netflix fa bene a sperarci.

C’è lo zampino del colosso dello streaming anche in Storia di un matrimonio ha subito catturato l’attenzione dei critici e degli spettatori. Adam Driver mostra di essere capace di grande scavo psicologico e l’intesa con Scarlett Johansson è notevole. Storia di un matrimonio è un film d’amore tra due persone che non si amano più, e proprio per aver raccontato con sincerità un aspetto quasi inevitabile della vita è piaciuto tanto.

Potremmo considerare la sua vittoria a Venezia, mostra cinematografica poco incline al pop sufficiente per garantire a Joker un posto nella storia del cinema, ma Todd Phillips e i suoi non hanno alcuna intenzione di fermarsi: record di incassi per un film R-Rated e cinecomic più redditizio di sempre – 65 milioni di budget a fronte dei 900 incassati – il film che ha ripensato la maniera di raccontare i fumetti sul grande schermo vuole essere anche il primo superhero movie a essere premiato come miglior film.

Sorprendentemente, C’era una volta a… Hollywood costituisce la prima possibilità che ha Quentin Tarantino di concorrere a questa categoria (un’eventuale vittoria di Pulp Fiction avrebbe consegnato la statuetta al produttore Lawrence Bender e non a lui). Il cineasta di Knoxville coglie l’occasione di riprendere, a cinquant’anni dal massacro di Sharon Tate, la Los Angeles che sta per affacciarsi sugli anni ’70, con le sue contraddizioni e le sue violenze, spogliata di quella patina lucida attraverso la quale siamo abituati a guardare il mondo degli hippie. Il Golden Globe al miglior film commedia o musicale è suo e, insieme a 1917, è il favorito di questa novantaduesima edizione.

 

Il favorito: 1917

Chi tifiamo: Jojo Rabbit

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