Riccardo II – La malinconica bellezza del declino

Riccardo II – La malinconica bellezza del declino

Da tempo volevo sottopormi alla lettura dei drammi storici shakesperiani, finalmente, durante le ultime settimane, ho trovato il tempo e la voglia di iniziare questo percorso di studio e approfondimento.

La scelta è ricaduta sul Riccardo II: il primo in ordine cronologico della tetralogia conosciuta come Enrieide, cui fanno seguito l’Enrico IV, diviso in due parti, e l’Enrico V.

La vicenda storica nella quale l’opera è inquadrata è la ribellione dei pari, la seconda grave ribellione durante il regno di Riccardo II, che porterà alla sua deposizione e alla fine della dinastia dei Plantageneti, a favore di Enrico di Bolingbroke, suo cugino, poi sovrano con il nome di Enrico IV, e primo sovrano dei Lancaster.

La trama è meno intricata di altri drammi (in realtà questa è anche considerata una tragedia) del Bardo: in seguito a una disputa tra il duca di Glouchester ed Enrico di Bolingbroke, Riccardo II esilia entrambi, per poi confiscargli i beni del secondo alla morte del padre; in seguito parte per l’Irlanda per sedare una rivolta, e in quel momento Enrico ritorna dall’esilio e insieme ad altri nobili rovescia il regno, e nonostante non si arrivi ad un conflitto campale il sovrano è costretto ad adottare il rivale, per poi abdicare in suo favore, ed è infine imprigionato e poi assassinato, in un lungo, inesorabile e triste declino.

Il conflitto tra i due sovrani è una mirabile rappresentazione di un passaggio storico, o meglio di una evoluzione: è il vecchio mondo contro il nuovo che avanza, Riccardo è convinto di essere sovrano per volere divino, estremamente narcisista e poco attento agli equilibri della politica, viceversa Enrico più vicino al Principe di Machiavelli, molto più concentrato sulle manovre di corte e sulle sfumature del potere, un uomo moderno, diverso in tutto dal medievale Riccardo.

È una storia ricca di personaggi metaforici e situazioni allegoriche, dai vecchi zii di Riccardo, rappresentazione vivente di un passato decadente, il tramonto di un mondo che già non c’è più; mentre i giardinieri, nelle loro conversazioni sui giradini d’Inghilterra, raccontano in realtà la nuova società che si sta formando.

È la storia della caduta di Riccardo e dell’ascesa di Enrico, ma per quanto il testo sia abbastanza equamente diviso tra i due personaggi il fuoco del racconto rimane assolutamente sul primo, che nella sua anacronisticità e incapacità di comprendere e accettare gli eventi diventa uno dei personaggi del Bardo più affascinanti. Il dramma, diviso in cinque atti, raggiunge il suo apice nel terzo, quando Riccardo atterra sulla spiaggia ingelese dopo la campagna d’Irlanda, e ritrova un regno non più suo. In un bellissimo monologo si rivolge prima alla sua terra, chiedendole di ribellarsi al suo nemico, per poi iniziare a rendersi conto della sua caduta.

Per amor di Dio, sediamoci sulla nuda terra a recitar le tristi cronache della morte dei re:come alcuni furon deposti, altri uccisi in guerra, altri ossessionati dai fantasmi di chi avevan deposto, alcuni avvelenati dalle mogli, o assassinati nel sonno: tutti morti ammazzati. “

Questo passaggio sembra quasi aprire veramente tutte le storie dei drammi storici shakesperiani che seguiranno, come se la caduta di Riccardo e l’inizio del nuovo mondo porteranno a storie di omicidi, di rovina, di caduta e in un certo senso l’oltraggio blasfemo di Enrico, di deporre un sovrano voluto da Dio, porterà una maledizione sul suolo inglese.

I due atti che seguono sono l’autunno del patriarca di Riccardo, che il lettore non può non finire per compatire e persino amare, pur apparendo incapace, persino impotente in confronto al rivale, il personaggio attraversa tutto il suo martirio convinto della sua essenza e affrontando il supplizio, il processo, l’incarcerazione, l’addio alla moglie, persino la morte, con grande dignità ed eleganza, in una via crucis dal finale inevitabile.

Riccardo si chiede nel quarto atto come essere ancora una persona non essendo più sovrano, si interroga filosoficamente sull’essenza delle persone, parlando di se stesso ma aprendosi a tematiche universali, dibattendo della questione rinascimentale dell’uomo inteso come ente divino, da un lato, di contro alla laicizzazione del soggetto, dall’altro lato.

Non è l’opera più complessa né quella più pop di Shakespeare, Riccardo II è però un dramma da riscoprire, per la bellezza dei suoi passaggi e per l’affresco che il Bardo dipinge, autunnale, amaro ma come tante sue opere, attuale e immortale.

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