L’insostenibile leggerezza del girare in tondo

L’insostenibile leggerezza del girare in tondo

Quando incontri un ostacolo lo superi tenendolo a destra o a sinistra? O è indifferente? O non ci hai mai fatto caso?

Ci sono cose che sfuggono completamente alla nostra attenzione, mentre sono cardini fondamentali del modo di vivere di realtà a noi lontanissime.

È un po’ quello che ci racconta Paolo Cognetti nel suo libro “Senza mai arrivare in cima”, diario del suo viaggio in una delle regioni più remote e inesplorate del pianeta: il Dolpo, terra di confine tra il Tibet e il Nepal.

La narrazione, con la struttura semplice ed efficace tipica del diario, è permeata della lucida eloquenza a cui ormai Cognetti ci ha abituato e gronda incondizionato amore per la montagna. La trama illustra il suo itinerario, tra gole rocciose e passi montani a quote superiori ai 5000 metri, affrontando fatiche, freddo e mal di montagna.

La trama riprende dichiaratamente quella de “Il leopardo delle nevi” di Peter Mathiessen, che compì lo stesso viaggio negli anni ’70.

Entrambi i libri trattano tramite l’espediente del diario di viaggio, un tema ben più profondo e quanto mai attuale: la fondamentale inutilità dell’esistenza. Nel suo libro Mathiessen racconta della sua ricerca, durata circa tre mesi, del leopardo delle nevi, il felino più raro e meno avvistato della terra. La sua ricerca è fallimentare e dopo innumerevoli fatiche torna a casa senza aver coronato il suo obiettivo. È tramite il suo confronto con i monaci locali, poverissimi eppure molto più felici di lui, che comprende come non aver trovato il leopardo in realtà sia il risultato migliore in cui potesse sperare “Hai trovato il leopardo delle nevi? No! Non è bellissimo?” (Sic).

Allo stesso modo Cognetti riprende il concetto nella metafora dello scalare una montagna. Il suo viaggio è fatto di conquiste personali non trascurabili, eppure non ha scalato nessuna montagna, immagine che permea il nostro mondo anche in ambienti non alpinistici. Ci racconta così che i popoli locali non scalano le montagne, ma vi girano introno, in pellegrinaggio. E lo fanno in un modo ben specifico: in senso orario, ovvero tenendole sulla destra. Allo stesso modo ogni volta che incrociano un oggetto verso cui portano rispetto (ad esempio una stupa) lo tengono sulla destra. È il loro modo di porre omaggio verso l’entità che quell’oggetto rappresenta. In particolare, la montagna attorno a cui Cognetti gira è la Montagna di Cristallo, montagna sacra e inviolabile dalla cui cima si può osservare il venerato Monte Kailash, il monte sacro per eccellenza su cui risiede Shiva in persona. Ma se è proibito scalare la Montagna di Cristallo, come si fa a sapere che da lassù si vede il Monte Kailash? Se lo si chiede a qualcuno del posto si viene accolti da un sorriso che significa che se non o capisci da solo non sarà possibile spiegartelo.

Sia il libro di Mathiessen che quello di Cognetti non ci raccontano di fatto niente di nuovo. Si tratta di due storie la cui morale è la massima new age “non importa dove vai, ma come ci arrivi”; tuttavia, nel loro non importare dove ci portano, ci portano davvero molto bene.

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