Pasolini, ritratto di un conservatore

Pasolini, ritratto di un conservatore

Oggi, esattamente quarant’anni fa veniva ritrovato il cadavere di Pasolini, orridamente ucciso nella notte appena trascorsa. Che si creda alle teorie dell’omicidio politico o alla versione del delitto sessuale (come chi scrive), si tratta di una fine estremamente emblematica per uno degli intellettuali più interessanti del ‘900 italiano.

Personalmente, all’immagine del santo laico ho sempre preferito la figura dell’uomo coerente fino in fondo nel vivere i suoi dilanianti contrasti interiori. Non ho mai amato la mitizzazione di questo grande, culminata con la consegna del suo cadavere all’olimpo dei morti per antifascismo, invece che di sesso violento. Quasi nessuno fra i personaggi illustri che lo hanno conosciuto bene ha voluto nascondere la sua dimensione brutalmente carnale, che in fondo nulla andava a togliere a quella del raffinato intellettuale. Lui stesso ha continuato a rappresentare e vivere infinite volte nella sua arte, in forma letteraria come cinematografica, quella bramosia erotica che lo consumava e che infine l’ha ucciso. Fra i tanti che possiamo citare, Moravia parlò della sua morte come di “fine simile alla sua opera”, mentre il critico Federico Zeri riscontrò una forte affinità fra la fine di Pasolini e quella di Caravaggio, “perché in tutt’e due mi sembra che questa fine sia stata inventata, sceneggiata, diretta e interpretata da loro stessi”.

Ritengo che Pier Paolo Pasolini sia stato oggetto di una strumentalizzazione molto forte, anche da parte degli ambienti che lui avrebbe detestato, a partire da quel tipo di attivismo sessantottino rispetto al quale, come è noto, polemizzò fin da subito. E’ come se il suo pensiero fosse stato semplificato, liofilizzato in un preparato istantaneo da consumare agevolmente in un salotto radicalchic, fra una sua citazione e un romanzo di Walter Veltroni. La straordinarietà del pensiero di Pasolini sta invece nel fatto che non è mai stato un portabandiera del progressismo facile, ma un suo radicale oppositore. Un fiero conservatore se non addirittura un reazionario. Un pensatore coerentemente scandaloso, vissuto nel culto di ideali e valori d’altri tempi, spazzati proprio da quell’ondata conformista che si è poi appropriata di una sua millantata eredità culturale. Valori rispetto ai quali chi scrive non condivide assolutamente nulla, essendo io un liberale che crede nel progresso, nell’individuo, nel capitalismo democratico. Ma che denotano un coraggio intellettuale che non può non essere ammirato da ogni parte, se osservati nella loro cristallina chiarezza.

Pasolini era contro la borghesia progressista, la società permissiva e irreligiosa, l’aborto e la manipolazione genetica, la modernità, i figli di papà che attaccavano i poliziotti ma risparmiavano i magistrati, perché borghesi come loro, contro l’esibizionismo e la droga. Ricevette dure critiche a destra come a sinistra (fu anche cacciato dal Pci) perché omosessuale, osceno e corruttore di minori; criticò il moralismo e la voglia di potere di Lotta Continua, fu criticato in quanto reazionario, passatista, nostalgico della società contadina (come effettivamente era). Rifiutò di entrare nel movimento omosessuale, il Fuori, perché aveva un’idea intimamente naturale della sessualità, come un qualcosa da lasciare allo stato naturale e scandaloso, da non etichettare o certificare. Criticò ferocemente giornali popolari e televisione (anche se, come gli contestò Biagi, troneggiava su entrambi) come strumenti antidemocratici, dove tutto viene calato ex cathedra, mischiato ad un processo di volgarizzazione e di consumismo, di perdita delle identità originali. Il suo stesso essere comunista, o “marxista eretico” come lui si definiva, era in realtà una declinazione del suo conservatorismo: era per lui un baluardo contro l’irreligiosità e la modernità capitalista.

Non è un caso che Pasolini sia stato apprezzato da intellettuali di destra e di sinistra radicale, talvolta per la stessa ragione: il rifiuto delle nuove forme della società, coi suoi connotati spesso superficiali. Da contestualizzare invece il supporto che diede ai Radicali (o per meglio dire a Marco Pannella) che pure rappresentavano valori spesso opposti. In quel caso c’era la comune voglia di scandalizzare, di bestemmiare, di non ridursi mai al “nulla ideologico mafioso” della DC (criticata non per il suo carattere confessionale ma proprio per aver abdicato allo stesso) o alle varie anime progressiste (dal “fascismo di sinistra” di Adriano Sofri al vuoto sessantottismo di Mario Capanna).

Interessante la lettura (un po’ maligna nel riferimento all’omosessualità) di un suo estimatore “da destra” come Marcello Veneziani: “la differenza fra i conservatori di destra e Pasolini è che i primi lo erano nel nome del padre (da qui il loro paternalismo autoritario); lui lo era nel nome della madre (da qui il suo legame puerile col passato). In quella differenza c’è la sua eresia e la sua omosessualità”. C’era sicuramente molta maternità rassicurante nel suo desiderio di ritorno alle radici, nel suo amore per la madre terra, la madre lingua, la madre Chiesa (chi ne ha fatto un santino della sinistra laicista si rassegni). E d’altra parte anche un suo estimatore “da sinistra” come Fulvio Abbate ha sempre sottolineato la presenza pervasiva, ossessiva della madre di PPP nella sua vita e di conseguenza nella sua poesia. Basta leggere questa lancinante Supplica a mia madre , quasi un manuale di psicanalisi in pochi versi: “Sei insostituibile. Per questo è dannata alla solitudine la vita che mi hai data. E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame d’amore, dell’amore di corpi senza anima. Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù…”

Anche sotto questo aspetto risulta impossibile inquadrare Pasolini nel progressismo facile. Mi spingerei oltre: è quasi impossibile immaginarlo nella modernità, la nostra modernità in cui ha prevalso naturalmente una vita opposta rispetto al suo tradizionalismo nutrito nella contemplazione religiosa di miti già spenti. E dunque una tradizione che non svolgeva più la sua funzione di custodia del fuoco ma già rifugiatasi nel culto delle ceneri. Non posso non dissociarmi da chi esprime dolore per l’impossibilità di conoscere un’analisi pasoliniana sul mondo di oggi, perché oggi Pasolini sarebbe fuori dal mondo. Probabilmente isolato, marginalizzato, ridotto a macchietta come un predicatore feroce di valori ormai medievali, incapace di adattarsi al presente. Un presente straordinariamente accelerato, anche evoluto, ma fatto pur sempre di esibizionismo, progressismo, modernità, libertà da ogni giogo della tradizione e della religione, sessualità ostentata, interclassismo, inter-razzialità, globalizzazione, medium di massa, pubblicità, mercificazione.

E’ anche per questo che si comprende come mai Pasolini abbia fatto di tutto per non arrivare a vederlo, e su questo abbia impostato buona parte della sua poetica.

 

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